L’attenzione delle gente, com’era naturale, si è focalizzata, nel corso della pandemia del Covid19, sugli aspetti sanitari e su quelli politici della situazione.
Sono rimasti in ombra i profili umani, filosofici, “di costume”, e su di essi, invece, non è male soffermarsi.
Ve ne sono alcuni di carattere planetario. L’atomizzazione della vita sociale, già in atto dal momento della “globalizzazione”, è giunta al suo diapason, con l’isolamento anche fisico degli individui: ciascuno chiuso nella propria cella; all’inizio un uso forsennato del computer, un aumento considerevole delle email e delle sms con scambio di video, note, opinioni e poi un silenzio sempre più diffuso, rassegnato.
Si è registrato un crollo del valore della persona umana: l’individuo è diventato un numero nella statistica dei contagiati, dei guariti, dei deceduti; il dolore da continuativo è divenuto puntuale; da concreto e limitato a un numero definito di persone è diventato impersonale, di massa.
Altri aspetti, soprattutto di “malcostume” sono stati avvertiti in Italia da chi vi viveva (non potendosi escludere, in linea astratta, che si siano verificati anche altrove).
Gli abitanti della Penisola, nella fase più acuta del Corona virus, hanno smentito clamorosamente Giosuè Carducci che li aveva definiti un “popol morto”; hanno dimostrato, al contrario, di essere un popolo molto attaccato alla vita e di temere la morte molto di più di tutti gli altri abitanti del Pianeta: se è vero quanto ci hanno raccontato che si sono rinserrati in casa come in nessun altro luogo della Terra.
Gli Italiani non hanno contraddetto, però, Dante Alighieri.
Servilmente, hanno accettato di trasformarsi da “cittadini” in “sudditi” in un battibaleno. I governanti non avevano tenuto conto del loro eccezionale amore per la vita e adusi, da due millenni, a considerarli come pecore di un gregge hanno imposto loro:
a) di accettare l’umiliazione di divieti, cervellotici e incongrui, emessi a profusione e contenuti in provvedimenti innumerevoli, arraffazzonati e incomprensibili, con prescrizioni umilianti di autocertificazione;
b) di subire che tali “capolavori” di aberrante idiozia fossero immaginati e scritti da una cospicua “squadra” di collaboratori del primo ministro del tutto privi di conoscenza di un uso corretto dell’italiano (solo per effetto di ciò, hanno potuto definire “distanziamento sociale”,la necessità di osservare e mantenere uno spazio fisico tra due persone);
c) di sopportare che “un uomo con l’insano proposito di essere solo al comando”, parlando di libertà costituzionali, certamente precedenti all’incarico da lui ricevuto per italiche (e altrove sconosciute o disprezzate) alchimie politiche, dette eufemisticamente “istituzionali” alzasse il ditino, dicendo, come a una scolaresca ribelle: io vi consentirò, io vi permetterò, io vi concederò e così via;
d) di tollerare che minacce di “chiusure” di esercizi commerciali, di servizi e di ritorni alla misura degli “arresti domiciliari” provenissero anche da oscuri docenti (di un’Accademia che avrebbe fatto inorridire persino il cinico Platone per l’ossequio eccessivamente acritico ai verba magistri, dimostrato “pur di “salire in cattedra”) e da sedicenti esperti il cui nome, com’è facile prevedere, ritornerà nell’anonimato e nel silenzio più assordante a pandemia finita;
d) dulcis in fundo (o, rectius: in cauda venenum) di dovere subire il conformismo vergognoso, con poche eccezioni, del sistema mass-mediatico nazionale. Per giorni e giorni, pennivendoli da dozzina hanno ripetuto, usando caratteri cubitali per i titoli dei loro articoli, gli stessi imperativi categorici e assolutistici, impartiti ai “sudditi autocertificanti” da leader (si fa per dire, naturalmente) politici, virologi, epidemiologi, infettivologi. E ciò dando prova di una malsana tendenza a condividere il loro incontenibile “delirio di potenza”.
Solo pochi cittadini hanno avuto la sensibilità di uomini liberi e di rifiutare l’idea stessa di una così soporifera e supina sudditanza al Capo.
C’è stato chi, del tutto inascoltato, ha gridato contro l’incongruenza e l’arbitrarietà di molti divieti imposti alle popolazioni di Regioni che presentavano un tasso molto basso di contagio.
E’ prevalsa, però, l’italica tendenza al bizantinismo delle simmetrie perfette. A ragionevoli richieste di misure diversificate, si è controbattuto che l’uniformità di trattamento evitava al “gregge” di cadere nell’anarchia!
Un fitto mistero su ciò che gli Italiani avrebbero potuto fare nelle seconde casedi così diverso da quello che avevano fatto nelle primeha assillato (e continua a tormentare) la mente di chi non ha portato il cervello all’ammasso e si ostina a voler cogliere le ragioni di una stupidità così immensa.
Domanda: Che cosa giustifica la persistente validità del verso dantesco sulla “serva Italia”?
Risposta: tutte le ideologie, che con le “loro” rispettive, indiscutibili e assiomatiche “verità”, presenti in Italia da duemila anni a questa parte, utili al “malgoverno” di Pontefici simoniaci e al centro di oscuri intrighi di Curia, di Monarchi e di Tiranni di varia ferocia dittatoriale, hanno prodotto il miracolistico effetto di convincere l’italico “gregge” a non credere all’apodittica affermazione della sua possibile immunità dal virus, ma di prestare ossequio alle parole altrimenti “illuminate” di tutta una serie infinita e progressivamente in crescita di “anonimi” e “sconosciuti catastrofisti” cui il Coronavirus ha regalato attimi di inimmaginabile e imprevedibile notorietà.
A pandemia finita, sarà interessante conoscere, oltre al numero dei contagiati, dei guariti e dei deceduti, delle persone che sono apparse in video o intervistate sulla stampa.