Con il consueto garbo e la sua indiscussa dottrina, il Direttore del giornale “Rivoluzione Liberale” (quotidiano on line che, per inciso, rappresenta una palestra di libertà vera e forse unica in Italia), ha ricordato che anche le isole britanniche hanno una tradizione cattolica molto antica e persino bigotta. Non lo nego, ma osservo:
a) che i cattolici nel Regno Unito di Gran Bretagna sono soltanto cinque milioni a fronte di quarantaquattro milioni di cristiani protestanti (anglicani, calvinisti, metodisti e altri) e di cinquantanove milioni di abitanti, tra cui molti sono cattolici immigrati (irlandesi, polacchi e lituani, soprattutto, i più legati alla Chiesa di Roma);
b) che il Calvinismo, intransigente e rigoroso anche e più del cattolicesimo in materia di libertà sessuale (nella forma ossessiva del puritanesimo), è molto più indulgente verso i ricchi di quanto non lo siano i cattolici (che, però, a dispetto, del Vangelo sono diventati seguaci e fedeli della Chiesa più ricca e potente del Pianeta) e ha consentito uno sviluppo del capitalismo molto più accentuato che nel resto dell’Occidente;
c) che le differenze tra l’illuminismo inglese e quello francese sono profonde quanto è ampio il solco tra vedute empiristiche e concrete del mondo e visionarietà idealistiche e astratte della realtà (religiose o platoniche);
d) che l’idea di una vera e sostanziale libertà non può andare disgiunta da quella di una “conoscenza” non condizionata da dogmi di natura religiosa (verità rivelata da Dio) o filosofica (assiomi asseriti da Maestri ritenuti intoccabili);
e) che l’assolutismo monarchico in Inghilterra è stato limitato al periodo di regno di Enrico VIII e che il Parlamento vi ha sempre avuto un ruolo che, quanto a bilanciamento, dei poteri statuali, non ha l’equivalente nei Paesi continentali dell’Europa;
f) che la Rivoluzione francese non si è per niente contraddetta perché una rivolta che nasce e si articola in un ambiente dominato da assolutismi ideologici, religiosi o filosofici, non tende ad altro risultato che a sostituire a un potere egemonico e dispotico, un altro di pari natura;
g) che l’imperialismo napoleonico (come, del resto, le successive dittature fasciste e comuniste) non fu generato da una sorta di legge del contrappasso ma rappresentò l’ulteriore frutto avvelenato delle concezioni assolutistiche dominanti nell’euro-continente;
h) che il romanticismo, precursore dell’idealismo hegeliano (come ben nota il Direttore) non riuscì a penetrare nelle isole britanniche per le stesse identiche ragioni che avevano impedito l’ingresso di concezioni non improntate a un lucido e razionale empirismo conoscitivo e a un sano e concreto pragmatismo operativo;
i) che la vittoria degli eserciti alleati nella seconda guerra mondiale, anche volendo seguire il ragionamento del Direttore sul trionfo dei buoni principi su quelli cattivi (che sa un po’ di manicheismo religioso e soprattutto non tiene conto che tra i vincitori vi erano pur sempre i sovietici certamente non portatori di Bene) segnò soltanto, se proprio si vuol condividere l’idea dell’apoteosi, l’affermazione delle vere liberal-democrazie fondate su principi di concretezza non dogmatica su quelle fasulle che avevano aperto la strada, con la loro confusione “idealistica”, alla “barbarie delle dittature nazi fasciste”;
j) che Winston Churchill (come mi ha precisato Lord Charles Powell, in risposta al mio ultimo articolo) voleva una Confederazione degli Stati Europei, escludendo da essa la Gran Bretagna (con una sorta, quindi, di Brexit ante-litteram);
k) che Margareth Thatcher, opponendosi all’Europa federale confermò e non smentì, come pensa il Direttore, la sua fama di grande statista, perché si pose sulla linea di grande lungimiranza del suo predecessore Winston Churchill, uno degli uomini politici maggiori del secolo;
l) che gli errori di Theresa May dimostrano solo che i leader politici di tempra possono essere rari anche nel Regno Unito, a causa di insondabili leggi genetiche;
m) che è molto difficile che sull’uscita dalla Unione Europea la Gran Bretagna cambi idea, raddoppiando l’errore di esservi entrata e mostrando, in tal modo, di essere dimentica delle sue peculiarità di unica e vera liberal-democrazia del vecchio continente.
E qui mi fermo. Sulla strada da seguire, perché l’Europa continentale imbocchi la strada giusta per riprendere il suo posto tra i grandi poli produttivi del mondo ho scritto troppe volte perché io mi ripeta. In sintesi: è la stessa strada che hanno seguito Stati Uniti d’America e Regno Unito di Gran Bretagna, soprattutto in materia di introduzione di misure doganali per arrestare il predominio di Stati che producono merci con lavoratori (spesso costrittivante) a basso costo.
E poi (scusandomi per la ripetizione): ripresa di un ruolo “politico” dell’Unione Europea (in favore, naturalmente, della polis dei singoli Stati-membri e non della congrega dei finanzieri di New York e di Londra); ripristino della regola antica: Salus rei publicae suprema lex esto (che altro non è che il motto Trumpiano: America first!); liberazione degli Euro-continentali dall’egemonia di banchieri e tecnocrati del credito con le loro idee di capitalismo esclusivamente monetario (che essi ritengono di preservare imponendo ai burocrati di Bruxelles pareggi di bilancio e misure di austerityche impediscono investimenti in attività produttive di diverso genere); arresto dei flussi immigratori dall’Africa che pongono solo rattoppi peggiori del buco alla zoppìa delle imprese manifatturiere in crisi di competitività per l’alto costo del lavoro e stravolgono gli equilibri civili, economici e sociali, raggiunti in anni di duro lavoro, dalle popolazioni europee.
Sono suggerimenti di segno, non proprio diametralmente ma certamente, opposto a quelli del Direttore: ma questo è il bello della “diretta on line”.