Martedì 3 settembre gli Italiani hanno atteso, davanti al televisore, trepidanti e senza alcuna diffusa indignazione, il risultato di una delle maggiori aberrazioni che in democrazia è possibile concepire: attribuire maggior valore, rispetto a quella parlamentare, a una votazione alternativa di ottantamila iscritti a un Movimento politico (svoltasi, per giunta, con le modalità tipiche delle consorterie segrete, nell’ambito di una non meglio definita piattaforma mediatica, di proprietà di un oscuro, privato, cittadino). Degli anonimi quidam de populo sono stati ritenuti idonei a decidere, per tutti gli Italiani, se il Paese doveva avere o meno un governo.
Il tutto è avvenuto dopo giorni di sceneggiate e rappresentazioni, a dir poco farsesche, con plateali confusioni e contraddizioni. Il seguito è stata la lettura dei nomi del nuovo governo del Paese, nel tripudio di giornalisti inspiegabilmente sorridenti e visibilmente soddisfatti. Se Winston Churchill avesse solo potuto immaginare lo spettacolo che la democrazia italiana ha offerto al mondo, in questi giorni, avrebbe corretto o modificato, con qualche significativo inciso, il suo celebre aforisma secondo cui la democrazia è la forma peggiore di governo, eccezion fatta per tutte quelle altre forme che si sono sperimentate finora. Avrebbe, almeno, ampliato il suo motto e incluso, tra le forme peggiori di governo di un Paese, la democrazia italiana, ritenendola un caso a se stante, del tutto atipico: probabilmente, patologico e comunque l’esatto contrario di ciò che si dovrebbe intendere per una normale democrazia.
Le manifestazioni che stanno spazzando via ogni fiducia della gente nella propria libertà, stanno anche inducendo i cittadini meno addormentati a ritenere che più che in una democrazia l’Italia vive in un regime del tutto singolare e artificioso, dove la verità è nascosta da molteplici falsità, create in ambienti decisionali di lontana e sconosciuta provenienza. A sapere dei meccanismi decisionali sono soltanto in pochi e non di certo i migliori e più onesti cittadini Italiani.
D’altronde, la sensazione della gente che tantissima parte degli uomini politici del Bel Paese non risponda né al demos né alla propria coscienza é di vecchia data e ha trovato solo una conferma nelle vicende vissute in questi ultimi tempi a partire dai governi messi e tenuti in piedi con artifici estranei alle logiche parlamentari o, addirittura elettorali, e subiti dal Paese per effetto di “persuasivi” e “autorevoli” suggerimenti, provenienti da sedi “altolocate”.
Nel territorio dello Stivale, il popolo è tenuto fuori da ogni decisione sul proprio destino: non ha importanza per chi e per come ha votato, né sembra avere senso lo stesso tentativo di interpretare il suo orientamento sui maggiori fatti della politica, analizzando le modalità con cui il voto si è svolto ed espresso. Meno che mai vale il giudizio espresso, con sondaggi più o meno corretti, ad elezioni avvenute, sull’azione svolta dalle forze politiche riuscite vittoriose. Anzi quel giudizio può essere stravolto e capovolto da ogni leader politico che riesca facilmente, con girellistica oratoria a cambiare (almeno secondo il suo convincimento) le carte in tavola.
La sensazione suddetta si congiunge al dubbio che siano “anonime direttive”, misteriosamente e occultamente impartite, a regolare l’azione anche dei maggiori leader della politica italiana, cui si richiede la rinuncia a ogni opinione e dignità personali (contraddicendosi in modo palese, a distanza di poche ore). Soltanto in tal modo può comprendersi l’apparente suicidio-politico cui sarebbero stati costretti tanti leader di partiti anche di lunga tradizione, recitando parti in commedia di camaleontismo e di sottomissione (a un potere ritenuto, con ogni evidenza, superiore).
La cosiddetta democrazia italiana richiede che il leader (mai altro termine fu usato così impropriamente, come sullo Stivale), quale che siano le cose in cui ha sempre dichiarato (magari fingendo) di credere, si dimostri capace di agire come uno spregiudicato “voltagabbana” per curare – si badi bene – non gli interessi della sua polis e del suo demos ma quelli “superiori” delle entità sconosciute che gli consentono, con il necessario sostegno mass-mediatico, di stare nel posto che occupa in Parlamento e/o al Governo (con la speranza, implicita, di rioccuparlo). Per completare il quadro della democrazia italiana (da Churchill neppure immaginabile) occorrerebbero alcune correzioni linguistiche.
La “politica” che da sempre significa “cura degli interessi della polis” dovrebbe cambiare nome e indicare, con idioma appropriato, la “cura degli interessi di chi consente di far fare a ignoti militanti importanti attività parlamentari e di governo degli Stati”. Non è facile trovare il lessico adeguato. Qualcosa, invece, è stato fatto sul termine “democrazia”. Per evitare equivoci sul significato originario di demos, i nemici, non dichiarati ma palesi, della democrazia hanno già inventato il termine dispregiativo di “populismo” che esprime bene tutto l’odio per il “volgo”, preteso e sedicente “elitario”, di pseudo intellettuali al servizio, ovviamente, di chi sostiene, con i politici, anche loro nelle redazioni editoriali.
Sorgono cinque domande:
- La prima domanda è: se il potere non dev’essere più del popolo-populista, ma degli abbienti signori della Finanza che consentono a tanti quidam de populo, meglio se ignoranti e incompetenti, di esercitare attività pubbliche, dove dobbiamo immaginarlo “allocato”? In stanze dagli stucchi dorati e mobilio rococò o in locali luminosi arredati con mobili di avveniristici design? In luoghi Italioti o dislocati in altre parti del globo?
- Seconda domanda: perché continuare a chiamare democrazia un sistema di potere, dove il popolo-populista, contro il dettato costituzionale (art.49), non è in grado di controllare la democraticità delle decisioni neppure nella vita interna dei partiti e, quindi, d’impedire scalate di gente incapace e inadeguata ai ruoli che intende ricoprire?
- Terza domanda: perchè continuare a parlare di appuntamenti elettorali se l’ipotesi che si verifichino davvero è ritenuta, con sempre maggiore evidenza, una “sciagura” e quindi da rimandare, con ogni mezzo?
- Quarta domanda: Se quel popolo definito con disprezzo populista non dà alcun segno di insofferenza e subisce di tutto, compreso lo spettacolo di uomini politici che, come ottimi hypocrites (nel senso originario e nobile del termine) avrebbero dovuto fare gli attori e di attori, persino stranieri, che intervengono politicamente nelle cose italiane per dirci cosa dobbiamo fare, vale ancora la pena di battersi per un suo forse non desiderato riscatto?
- Quinta domanda: Vi può essere democrazia nel senso corretto del termine se il potere decisionale può essere dimezzato (se non sottratto) agli stessi uomini politici prescelti elettoralmente da un ordine giudiziario superiorem non recognoscens che invade campi non di sua competenza, spesso con il plauso o lo sdegno della classe politica espropriata?
Conclusione: Questo non è più il paese dell’usque tandem ciceroniano. A palazzo Madama, il militare e patrizio romano è raffigurato, dal pittore Cesare Maccari, con le mani artigliate. Per l’Italia gli artigli sono ben altri e volano molto, ma molto, in alto!