Di Teresa D’Auria
Settimo giorno di quarantena, annoiati e senza nulla di interessante da fare; un po’ tutti ci ritroviamo in queste stesse condizioni.
Vorremmo uscire ma non ci è permesso, per il nostro bene e per quello delle persone che ci circondano. L’unico modo per realizzare in un certo senso questo nostro desiderio è affacciarsi al balcone o alla finestra di casa e fuggire verso l’orizzonte.
La mattina mi sveglio e corro ad affacciarmi alla finestra, mi manca la normalità e l’aria del mio paese. Il paesaggio come al solito è stupendo: il cielo è sempre azzurro e il
mare è sempre lì con le sue onde che cullano le barche dei pescatori o si infrangono contro gli scogli: forza inarrestabile, moto perpetuo senza soste. Però in mezzo a tutto questo splendore della natura spunta un po’ il grigio triste della malinconia, lo stato d’animo di tutti noi che si riflette sul paesaggio.
Conosco a memoria la visuale del mio balcone, ma posso dire che non è mai stata così per me.
Ha due facce: da un lato la sua maestosità e dall’altro la sua angoscia e la sua tristezza.
Non sono abituata a vivermi il mio paese da lontano, filtrato dal vetro del mio balcone oppure filtrato dall’assenza di persone in giro.
Acciaroli non è più la stessa senza le persone che la vivono, ma tornerà a vivere e noi con lei. Andrà tutto bene.