Possiamo prendere atto che la legalizzazione delle droghe leggere nel nostro Paese è già avvenuta. Perlomeno nella testa di molti milioni di italiani.
Se centinaia di migliaia di cittadini sostengono on line il quesito referendario, mettendoci la faccia e il codice SPID, significa che nessuno di loro ritiene di avere abitudini “clandestine” o di dover difendersi dalla riprovazione sociale.
Siamo ormai alla seconda generazione che convive con l“erba”.
La prima che la scoprì -quella del mitico sessantotto- le diede valori ribellistici e “liberatori”.
L’attuale la ritiene semplicemente una comodità (potremmo anche dire una commodity), uno svago che non contiene alcun significato morale o politico. Un mezzo terapeutico e funzionale alla sua “quiete“ esistenziale.
Come esistono i nativi digitali così abbiamo i nativi in cannabis, ragazzi che considerano hashish, marijuana e sostanze psicoattive lo scenario naturale della loro esistenza.
Il proibizionismo, formalmente vigente, sembra esistere ormai solo per dare alla delinquenza organizzata -che rappresenta una macchina economico industriale di dimensioni imponenti- il monopolio dello spaccio.
Arruolamento degli spacciatori, traffico internazionale di approvvigionamento, alleanze e guerre con mafie e cartelli avversari, tentata corruzione nei confronti dei controllori e dei repressori, riciclaggio e investimenti in finanze parallele.
Io che più che all’antica sono antico, rimango sempre perplesso dal pressappochismo dei termini e dei concetti con cui vengono trattate materie così delicate.
Per me “droghe leggere” è un ossimoro. Perché è pur vero che la drogheria era il negozio più innocente che frequentavamo e che le droghe erano sinonimo di spezie ma più recentemente, quando la chimica ha cominciato a costruire strumenti di alienazione e di morte, la parola ha acquistato una accezione terribile, certamente non conciliabile con il concetto di leggerezza e di impunità.
Le definizioni sono importanti nell’orientare la gente. Per cui trovo insopportabile la dizione “gli stupefacenti” che consegna un’aura di mistero, fascino, sorpresa a sostanze psicotiche. A meno di completare il concetto con un’aggiunta: stupefacentemente pericolose.
Rimanendo sulla centralità dei termini usati, c’è un’ultima frase che spiega meglio di ogni altra l’imbarazzo e la perplessità di chi deve prendere decisioni su contenuti così incerti e opinabili.
È la “modica quantità”. Oltre la quale scatta il reato. Contrapponendo l’uso personale alla attività di spaccio.
Come capite è il trionfo della soggettività e dell’incertezza.
Il dibattito nei prossimi mesi sarà confuso tra coloro che sono interessati ai contenuti specifici dei quesiti ed altri unicamente spaventati dalla prospettiva di referendum “facili”, che l’adesione on line sembra permettere.
Tra coloro che pensano lo strumento referendum utile a svecchiare i partiti, riportandoli a veicoli democratici di rappresentanza e altri, al contrario, che vedono nella “democrazia diretta” un mezzo per riattizzare il populismo in declino.
A noi, dubbiosi organici, non rimane che avere fiducia nella scienza medica e nella sua capacità di distinguere i livelli di dannosità e assuefazione presenti nelle singole abitudini (rimettendo al centro anche i tabagisti e gli alcolisti).
Una scienza medica purtroppo molto sotto stress per le conseguenze della epidemia e che, pur avendo avuto una reazione straordinaria a fronte di una malattia improvvisa e sconosciuta, è stata vissuta inevitabilmente come incerta e divisa.