“Siamo ciò che sappiamo” è il payoff di questo giornale, che è spazio di pensiero condiviso, in cui ognuno offre il proprio contributo per accrescere il sapere altrui.
Siamo certi che la condivisione di sapere arricchisce tutti e che, in fin dei conti, ognuno di noi è ciò che sa.
Chi collabora con il giornale condivide prima di tutto un’idea di mondo (nomen omen). L’idea che donare qualcosa che si possiede (che sia la propria conoscenza, professionalità, competenza, o gli strumenti di lavoro utilizzati) non “impoverisce”.
Ma, c’è un ma…
Questa idea si scontra con quella di chi si lascia abbindolare dall’avere più che dall’essere. Con quella di chi trasferisce la propria identità in ciò che ha (un bel lavoro, una bella casa, una bella macchina, vestiti firmati, l’ultimo smartphone…) arrivando ad essere ciò che possiede.
Chi vive in questo modo va incontro ad un paradosso: più cose accumula meno sarà libero.
“Se la paura è sempre paura di perdere qualcosa, allora il coraggio è la capacità di mettere in pericolo i propri averi, i propri affetti, le proprie idee per conseguire qualcosa di più importante […] Perdiamo noi stessi per non perdere i nostri avere ed il nostro ruolo” (Salvatore La Porta in “Less is more”).
La paura di perdere i propri averi rende timorosi. L’essere timorosi toglie coraggio e la mancanza di coraggio fa chinare la testa, costringendo a voltarsi dall’altra parte, perdendo contatto con la nostra vera identità.
Quanti giornalisti non “rischiano” di fare domande scomode al potente di turno per paura di non avere la prossima intervista in esclusiva?
Quanti consulenti non “rischiano” di contraddire il cliente per paura di perdere il contratto?
Quanti imprenditori non “rischiano” di aprirsi al futuro, perché “si è sempre fatto così ed ha sempre funzionato”?
Possedere cose è bello, essere ricchi e famosi è bellissimo (credo… quando lo sarò vi darò conferma), ma si può esserlo anche in modo coraggioso.
Condividendo sapere.