Non sono cattolico praticante e non sono ateo. Entrambi gli ambiti necessitano di dedizione assoluta, sono veri e propri mestieri a tempo pieno.
Non sono nemmeno un convertito per raggiunti limiti d’età, cioè -all’avvicinarsi della scadenza- non sono alla ricerca di una tardiva raccomandazione per l’esame finale.
Questo non vuol dire che non abbia una ragionevole frequentazione della Bibbia che ritengo un interessante documento di storia e un fondamentale testo di filosofia.
Per questo, da laico positivista, mi chiedo perché usiamo così poco il pensiero religioso in un momento così drammatico. Quanta consolazione può derivarne e quanti stimoli alla ricerca di un senso in questa emergenza.
Per chi crede ci sono le preghiere, per tutti ci sono le riflessioni morali su mille novità che la pandemia porta con se’.
Ad esempio l’isolamento, circostanza così rara in epoca moderna e così studiata nel passato. Occasione di annullamento e disperazione o, invece, di rinascita e trasformazione.
Oppure il suo contrario: il bisogno di socialità, lo stare non “tra” gli altri ma “con” gli altri. La condivisione della speranza, l’unità di fronte all’incognito.
Il morire da soli senza un saluto e un’ultima confessione. Senza il conforto del dispiacere degli altri.
L’inutilità della tua ricchezza, dei tuoi successi, della tua supponenza di fronte al virus.
La vanità annullata dalla “modestia” del tuo corpo fragile e malato.
L’ossessione del contagio: il clima di sospetto verso lo sconosciuto, la delazione sul vicino, la diffidenza reciproca.
La rottura della solidarietà tra generazioni, dal momento che quella giovanile si sente -a torto- al sicuro e ingiustamente sacrificata.
Quanti spunti di approfondimento possono nascere da questa esperienza che non deve essere, oltre che dannosa, anche inutile.
Perché dividersi polemicamente in tante categorie e sottocategorie, di natura professionale, territoriale, socialpolitica di fronte ad un nemico unico, che non fa preferenze e sconti a nessuno.
Perché la Rai, servizio pubblico, non trova il modo di affiancare ad una informazione inevitabilmente ansiogena, strumenti di riflessione più ampi e alti che permettano non di uscire -come si diceva all’inizio dello sfacelo- migliori di prima ma neanche -come si teme oggi di fronte alla rissa del “si salvi chi può”- peggiori.
Un confronto aperto e costruttivo tra scienza e fede, sacro e profano, passato e futuro.
Tutto molto diverso dalle dispute tra virologi saputelli e narcisisti, nel solco di una tradizione di grandi divulgatori che la Rai ha pure avuto, da Padre Mariano al Professor Cutolo.
Torniamo alla cronaca: con l’arrivo dei vaccini può iniziare una fase nuova.
Diciamo la verità: quella attuale della convivenza con il virus non ha avuto grande successo. Era un classico caso di “modica quantità “ e -come nel caso della tossicodipendenza- non ha funzionato.
Il problema consiste nel nostro egoismo che è ormai smisurato, non disposto alla benché minima concessione o rinuncia. Naturalmente non vale solo per gli Italiani ma per tutti le nazioni ad economia di mercato, fondata sul consumo (e sul consumismo, sua degenerazione). Uno sviluppo basato sulla crescita permanente e circolare, che non permette, per tanto, la riduzione o la selezione delle attività’.
La fase dei vaccini, si spera l’ultima, può riservarci prevedibili isterie per l’approvvigionamento, privilegi certi nelle forniture, sicuri negazionismi sulla efficacia, possibili (speriamo di no) delusioni medico-scientifiche.
Il sogno è ritrovare -come una rivelazione o rivoluzione- i piccoli gesti a cui eravamo abituati. Innocenti riti quotidiani della cui importanza non ci accorgevamo. Io la fine dell’epidemia la calcolerò in centimetri: per qualche tempo staro’ vicino -diciamo sotto il metro- a tutti quelli che frequenterò.