A fronte del rumore delle manifestazioni, troppi silenzi contraddistinguono, in queste settimane, il mondo olivicolo-oleario nazionale. Perchè non dire che, al 31 dicembre 2018, abbiamo prodotto solo 166.476 tonnellate di olio d’oliva? Perchè non denunciare la comparsa a scaffale di un extra vergine italiano a 2,99 euro/litro?
Le manifestazioni sulla crisi del settore olivicolo nazionale si susseguono, così i convegni, volti a stimolare un piano olivicolo 2.0.
Non possiamo dire che manchi attenzione intorno al mondo dell’olio di oliva italiano, con le trasmissioni “Viva l’Italia” di Rete4 e “Report” su Rai3 che hanno cercato di mettere in luce alcune criticità, con risultati non sempre soddisfacenti. Anche tutta la stampa nazionale ha dedicato pagine alla pessima campagna olearia che l’Italia sta vivendo, con un focus particolare su frodi e prezzi degli oli a scaffale.
Ecco perchè mi sarei aspettato che due recentissime notizie deflagrassero come bombe nel mondo dell’olio di oliva nazionale, facendo un gran baccano. Invece il silenzio.
Nel 2018 a picco la produzione nazionale di olio d’oliva
La prima notizia è che la produzione italiana di olio d’oliva, al 31 dicembre 2018, è stata di 166.476 tonnellate. Ricordiamo che nell’annus horribilis per eccellenza, il 2016, la produzione italiana era stata di 182 mila tonnellate.
Il dato attuale proviene ed è stato diffuso direttamente dalla Commissione europea ed è stato ovviamente fornito dal Ministero delle politiche agricole italiano, in particolare da Ismea.
Quello che appare strano è che Ismea, contrariamente a quanto accaduto negli anni precedenti, non abbia mai aggiornato la propria previsione di produzione, datata 8 ottobre 2018, che indicava per l’Italia una produzione da 270 mila tonnellate, un dato fortemente sovrastimato alla luce delle registrazioni che provenivano dalle campagne italiane durante la raccolta delle olive. Dati che, attraverso il registro Sian, erano disponibili quasi in tempo reale per il Ministero e i suoi organismi.
Perchè lasciare che i media continuassero a riprendere un dato, quello della previsione dell’8 ottobre, fortemente sovrastimato rispetto al reale?
Olio extra vergine d’oliva venduto a 2,99 euro?
La seconda notizia è che è uscito il primo “prezzo pazzo” per l’olio extra vergine di oliva italiano: 2,99 euro/litro in offerta. marchio proprio Despar, Consorzio che riunisce italianissime catene di distribuzione. Olio fornito, a quanto ci risulta, da un’altra italianissima azienda olearia. Evidentemente, se vogliamo farci del male, ci riusciamo benissimo da soli, senza l’intervento delle multinazionali estere.
Inoltre, attenzione: si tratta di una promozione, non di un sottocosto. La differenza, soprattutto in termini di comunicazione e percezione del consumatore, è significativa. Dichiarare un sottocosto significa far comprendere al consumatore che si tratta di una promozione speciale, limitata, con un prezzo che non rispecchia neanche il valore alla produzione dell’olio in questione. Dichiarare un’offerta, invece, implica la mancanza di guadagno da parte di uno o più soggetti della filiera (dal campo alla GDO) ma senza che alcuno ci rimetta.
Il prezzo di 2,99 euro/litro a scaffale non trova alcuna giustificazione economica.
Dall’estrapolazione effettuata grazie al Borsino Plus di Teatro Naturale è facile evidenziare come, in un arco temporale più che congruo per l’approvvigionamento dell’olio in questione, la quotazione più bassa per l’extra vergine italiano sia stata di 4,1 euro/kg, pari a 3,77 euro/litro. Ovvero il prezzo dell’olio all’ingrosso era ben superiore a quello al dettaglio, direttamente a scaffale.
Non mi risulta, in base a indagini personali, che il prodotto in questione sia stato campionato da nessun organismo di controllo, né che sia stata aperta alcun genere di indagine su tale scandalosa offerta. Va davvero tutto bene così?
Il mondo dell’olio d’oliva nazionale, almeno sotto il profilo comunicativo, sta vivendo un salto all’indietro. Un triplo salto mortale. Un vistoso arretramento, in materia di trasparenza e di tutela del consumatore, da posizioni che sembravano ormai acquisite e ben consolidate.
Chi pagherà il conto?