Se fosse un vino il libro I custodi del Vino di Laura Donadoni sarebbe un vino intenso, estremamente gradevole al palato, ma con un’anima complessa, con molte facce e molte anime come lo è il nostro Bel Paese e gli innumerevoli vitigni autoctoni e che all’improvviso ti esplode dentro in un tripudio di sensazioni.
Le pagine sono volate, rapito nella lettura. Laura Donadoni ha uno stile nel descrivere che ti fa sentire li con lei a camminare in mezzo alle vigne, sentire l’odore della pioggia sui vigneti quando viene il sereno, respirare la brezza del mare seduti/e con lei a parlare con i protagonisti e le protagoniste di questa storia. È poesia allo stato puro, un vero piacere da leggere, ancora di più quando si è contorniati/e da bottiglie di ottimo vino.
Questo libro è una personale fotografia dell’Italia del vino in cui vengono raccontati modelli di organizzazione, l’impegno di generazioni di viticoltori, l’ostinazione al limite della follia di tante persone che hanno lottato per recuperare e valorizzare vitigni autoctoni che hanno grandissimi potenziali.
È un libro che parla di futuro imprenditoriale, crescita economica, storie personali, voglia di raccontare come si stia evolvendo l’Italia del vino con tanti giovani e soprattutto tante donne che ci credono e che non hanno paura di innovare pur nel rispetto della tradizione.
Il vino è cultura, tradizioni, determinazione, coraggio, attaccamento alla terra, la gioia di portare qualcosa di buono agli altri e condividere. Come dice Paolo Fresu in un dialogo riportato nel libro «il vino, come la musica, è un’emozione sociale, un sentimento che si amplifica solo se condiviso» e questo libro è una perfetta trasposizione di tutto questo. In molti passaggi mi sono commosso, ma davvero, come pochi libri riescono a fare.
E’ un libro che parla di viticoltori locali «che ci fanno assaggiare il vino e con gli occhi che brillano chiedono com’è, perché è uno scambio,» di difesa dell’originalità dei sapori dall’omologazione del gusto, esclusività, produzioni limitate, del senso vero della condivisione, con la musica e il vino spesso protagonisti assieme come «potenti strumenti di comunicazione… che creano connessioni… in cui identità diverse si mescolano e si contaminano.»
Ci parla di viticoltori profondamente legati ai propri territori, in alcuni casi come i viticoltori che attraverso il vino riescono a dare nuova vita ed una prospettiva di futuro alle loro comunità aprendo «una finestra sul mondo… pur rimanendo radicati nella terra che amiamo.» Nel libro sono tanti gli esempi di comunità che crescono ma restano fedeli a loro stesse, che vogliono raccontarsi, aprirsi al mondo e alle innovazioni.
E’ un libro che parla di «vini di montagna schietti sinceri un po’ spigolosi», di «viticoltura millenaria che è costata fatica», dell’importanza del «custodire e migliorare il luogo in cui ci si trova» sentendosi in dovere di conservare il paesaggio e la biodiversità, spesso anche di recuperare il territorio.
Laura Donadoni racconta anche la fatica di cambiare mentalità nel collaborare e comunicare, la necessità di un sistema di denominazione geografica più preciso, ma anche di un’inversione di tendenza con il ritorno dei giovani alla viticoltura che in molti casi sono promotori e promotrici di un’attività di promozione dell’enoturismo, giovani che hanno voglia di farsi conoscere e che trovano nell’associazione lo strumento giusto e l’occasione di confrontarsi e agire insieme.
Interessante la lezione dell’Alto Adige e del suo consorzio Vini Alto Adige che è un vero e proprio promotore del territorio superando i campanilismi, le faide politiche o personali, divergenze e sovrapposizioni di competenze tra enti. A ciascuno viene riconosciuta la propria professionalità e si lascia fare a ognuno il proprio mestiere prendendo atto della necessità di ottimizzare lavorando e comunicando in gruppo.
Il caso del consorzio vini Alto Adige dimostra come il gioco di squadra non significa rinnegare la propria individualità o rinunciare a sé stessi. nelle realtà vinicole altoatesine ognuno fa al meglio ciò in cui eccelle e lascia che siano altri a occuparsi di quanto non è di sua competenza o lo distrarrebbe dal suo lavoro. Tutti lavorano «con la passione, l’amore e la volontà condivisa di non scendere più a compromessi» lasciando esprimere la creatività dell’individuo che ha la consapevolezza di far parte di una squadra, di una “famiglia” di cui condivide i valori ed il percorso.
La maggior parte dei consorzi, che sono enti pubblici e ricevono finanziamenti pubblici, non hanno però alcuna finalità di promozione dei territori e in molti casi le imprese viticoltrici si sono associate fra di loro per promuovere il proprio territorio.
E’ un libro che racconta del bisogno costante di riscontri esterni, del confronto sulle diverse tecnologie e di reinventarsi, del saper fondere la propria identità con quella della propria terra, del proprio Paese, per elevarla al massimo potenziale, di non cedere alla tentazione di abbassare l’asticella, sapersi comunicare, guardare ai mercati esteri, digitalizzarsi e saper fare rete, perché è unendo le forze si moltiplicano i clienti e si creano più opportunità per i territori.
Inoltre emerge chiaramente che molti territori italiani hanno storie e risorse meravigliose da far conoscere anche se c’è ancora una mentalità chiusa tanto da auto-boicottarsi.
Trovare la via della collaborazione e dell’interdipendenza costruttiva, del condividere esperienze e saper fare rete «quando riesce anche a trasformare la sua materia prima in un prodotto finito, la possibilità di dare il giusto valore, di raccontare una storia.»
Sono tante le storie descritte nel libro che mostrano come «con la determinazione, se si vuole fare impresa, se si vuole puntare sul vino e si è consapevoli del valore del proprio territorio, non servono grandi investimenti e nemmeno un’eredità, ma un po’ di ingegno e la volontà di fare rete. »
C’è una frase che per me riassume perfettamente il lavoro che i vari viticoltori e le tante viticoltrici che Laura Donadoni ha incontrato durante il suo viaggio in Italia “sulle orme” di Mario Soldati: «il nostro obiettivo è versare non un calice di vino ma una storia e di raccontarla attraverso la piacevolezza dei vini, delle etichette e delle persone che propongono le nostre bottiglie.» Ve lo consiglio davvero di cuore, buona lettura e alla vostra salute.