venerdì 22 Novembre 2024
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I ragazzi dello Zecchino d’Oro, doppia recensione: Glauco Almonte e Giampaolo Sodano

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Domenica 3 novembre RaiUno ha trasmesso, in prima serata, il film “I ragazzi dello Zecchino d’Oro”; prodotto da Rai Fiction insieme a Leone Cinematografica, si tratta di un prodotto al quale è necessario prestare attenzione all’interno di un percorso – quello della principale produzione cinematografica e televisiva italiana – sempre più virtuoso. Con colpevole ma allo stesso tempo inevitabile ritardo rispetto al resto del mondo, la Rai si è accorta che non c’era più ragione di restare ancorata ad un’idea di televisione che era già vecchia 20 anni fa ed ha iniziato a proporre prodotti sempre più intelligenti, senza rinunciare alla qualità cinematografica nei vari reparti, nota dolente della maggior parte delle fiction più simili alle telenovelas che ad un film.

In un’annata in cui il titolo di maggior appeal è la seconda stagione de “L’amica geniale”, “I ragazzi dello Zecchino d’Oro” si rivela, in parte a sorpresa, un prodotto eccellente per equilibrio tra intenzione e messa in scena. Il rischio che tutto nascesse e si sviluppasse con l’unico intento di celebrare sé stessi sarebbe stato alto, se l’idea fosse stata dei vertici dell’azienda; il progetto nasce invece dall’esperienza di Ambrogio Lo Giudice, che ha voluto raccontare la storia della nascita del Piccolo Coro dell’Antoniano partendo dai propri ricordi e soprattutto dalle proprie emozioni di bambino dello Zecchino d’Oro. Il progetto è stato sposato dalla Rai che ha affidato a Lo Giudice la regia, oltre che la stesura finale, di un film da trasmettere in un’unica puntata – piccola anomalia che rende “I ragazzi dello Zecchino d’Oro” eventualmente fruibile anche nelle sale cinematografiche senza necessità di apportare modifiche.

Uno dopo l’altro, questo progetto ha evitato gli scogli di lavorazione, condotto con maestria ed affidato alle persone giuste: lo spettatore si sente a proprio agio nella visione grazie al lavoro sui costumi (di Francesca Brunori e Liliana Sotira) ed alle scenografie di Leonardo Scarpa, che arricchiscono una città (Bologna) che sembra perfetta per raccontare gli anni ‘60. È nella recitazione, però, che questo prodotto sorprende maggiormente; sembrano rilegati al passato i primi piani inondati di luce, le interpretazioni sempre uguali dei soliti, pochi attori, e soprattutto ciò che maggiormente penalizza questo tipo di racconto televisivo o cinematografico: la recitazione dei bambini, troppo spesso poco curata nei prodotti italiani degli ultimi 20 anni. In questo elemento si può avvicinare “I ragazzi dello Zecchino d’Oro” alla fiction di punta della Rai, “L’amica geniale”, che ha lanciato la carriera di Ludovica Nasti e che si spera prosegua sullo stesso livello con le attrici adolescenti della seconda stagione; pur mantenendo una differenza netta tra la recitazione drammatica della serie di Costanzo e questa, in cui i bambini hanno toni esclusivamente da commedia, Ruben Santiago Vecchi – il protagonista, Mimmo – è una ventata di freschezza, ben accompagnato dagli altri tanto nelle scene canore quanto in quelle di strada.

I ragazzi dello Zecchino d'oro - Uffico stampa Rai
I ragazzi dello Zecchino d’oro – Uffico stampa Rai

Il personaggio più delicato, insieme a quello del bambino protagonista, era senza dubbio quello di Mariele Ventre, fondatrice e direttrice del Coro dell’Antoniano: ottima la scelta di un’attrice in grande ascesa quale Matilda De Angelis, vista per la prima volta con la treccia blu da ribelle in “Veloce come il vento” di Matteo Rovere e perfetta nella mise e nell’atteggiamento impeccabili di Mariele, in attesa di ritrovarla sul grande schermo nei prossimi mesi diretta da Sergio Castellitto e dall’emergente Sydney Sibilia. Nota di merito per Antonio Gerardi nel ruolo del padre di Mimmo, ma è tutto il cast ad esprimersi su buoni livelli.
Lo Zecchino d’Oro, sicuramente meno in auge oggi rispetto a molti momenti del nostro passato, rappresenta un patrimonio collettivo: Rai Fiction e Ambrogio Lo Giudice hanno saputo utilizzarlo per celebrarne la nascita e l’importanza socio-pedagogica, dandogli al contempo l’occasione per avere nuova attenzione da parte del pubblico di oggi e soprattutto di domani.

di Glauco Almonte

Ottimi ascolti per I Ragazzi dello Zecchino d’Oro che su Rai 1 è stato guardato da 4.228.000 spettatori pari al 18.3% di share, mentre Canale 5 con La Ragazza nella Nebbia ha ottenuto 1.624.000 spettatori pari al 7.3% di share. Italia 1 con Le Iene Show può ritenersi soddisfatta con i suoi 2.228.000 spettatori e il 12.5% di share, mentre Rai3 con Molly’s Game ha intrattenuto un pubblico di 1.081.000 spettatori pari ad uno share del 4.9%.
Il giudizio del pubblico è sempre la cosa più importante.

Questa volta ha premiato nettamente un film straordinario: la sua eccezionalità si può rilevare se si misura il consenso del pubblico e la ottima fattura del prodotto nel contesto dell’offerta televisiva di questa stagione caratterizzata da format vecchi e usurati e da una produzione di fiction che sempre di più sprofonda in uno stanco provincialismo. Da Montalbano a tutta la serie di commissari sparsi per il Belpaese siamo nel campo di una stanca ripetizione di storie e personaggi che si ripetono stagione dopo stagione.

Se mettiamo a confronto “Un passo dal cielo” con “La casa di carta” oppure, salvo rare eccezioni, il complesso della produzione di viale Mazzini e di Mediaset con quella di Netflix o con le serie made in USA ci rendiamo conto del ritardo che abbiamo accumolato. Questo senza nulla togliere al valore professionale dei manager o degli autori che tuttavia non riescono a sopravanzare un sistema di governo dell’audiovisivo nazionale ormai votato al suicidio.

In questo desolante panorama il film di Ambrogio Lo Giudice brilla di luce propria, imponendosi con le sue straordinarie e originali scelte artistiche, dagli attori, ai costumi, ai dialoghi. Riprese, scenografie e musica hanno risentito di un budget sicuramente scarso per cui è ovvio che il merito maggiore va al regista che si è dimostrato capace di una direzione sicura e autorevole portando i protagonisti, gli attori che fanno i bambini del coro dell’Antoniano, ad una performance che di rado si è vista sugli schermi televisivi.

Confesso di essermi commosso rivedendo la sigla dei bambini per un famoso varietà del sabato sera, una scelta “originale” di Giovanni Salvi. Forse questo è il merito maggiore di Lo Giudice: il film non cade mai in una rievocazione nostalgica ma restituisce al pubblico di oggi ideali e valori di un tempo in cui l’Italia correva verso un suo futuro migliore.

di Giampaolo Sodano






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