martedì 5 Novembre 2024
Anteprima NewsDalla globalizzazione produttiva alla glebalizzazione tecnofinanziaria

Dalla globalizzazione produttiva alla glebalizzazione tecnofinanziaria

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In uno dei monologhi più famosi della storia del cinema, l’attore Ned Beatty, nel ruolo di un boss dell’alta finanza, per quattro minuti, perseguita un attonito Peter Finch, che incarna un famoso anchorman, ovvero il potere della Tv e gli impartisce una drammatica lezione su come vanno le cose nel mondo. Siamo nel 1976, lo sceneggiatore era Paddy Chayefsky, il film si intitolava Quinto Potere ed era diretto da Sidney Lumet. Il tandem sincronicamente impeccabile di due dei migliori talenti della Jewish American Community, vinse quattro Oscar. Sono passati 45 anni e quelle frasi sono sempre più attuali.

“Lei è un vecchio che pensa in termini di nazioni e di popoli – esordisce Beatty”. Ma… “Non vi sono nazioni, non vi sono popoli. Non vi sono russi, né arabi, né Terzi Mondi, né Occidente”. Siamo ancora in piena Guerra Fredda e gli arabi stanno facendo schizzare il prezzo del petrolio alle stelle. Ciò nonostante, continua Beatty: “Esiste solo un unico sistema di sistemi. Un vasto e immane, interdipendente e intrecciato, multivariato, multinazionale dominio dei dollari: petrodollari, elettrodollari, multidollari, deutsche mark, sterline, rubli, yen”. “…È il sistema internazionale valutario che determina la totalità della vita su questo Pianeta”. “Questo è l’ordine naturale delle cose oggi. Questa è l’atomica, subatomica e galattica struttura delle cose oggi giorno”. Da notare che Chayefsky, per bocca di Beatty, menziona sia il mondo newtoniano atomico, che quello subatomico della fisica quantica, che quello dello spazio extraterrestre.

“Non esiste l’America, non esiste la democrazia. Esistono solo IBM, ITT, ATT, Dupont, Dow, Union Carbite ed Exxon. Sono queste le nazioni del mondo oggi. Il mondo è un insieme di corporation inesorabilmente regolato dalle immutabili e spietate leggi del business”. E qui il profeta Chayefsky, anticipando di mezzo secolo i temi del dibattito contemporaneo, si lancia in una pragmatic vision. “I nostri figli vivranno per vedere quel mondo perfetto in cui non ci saranno guerre, né fame, né oppressione, né brutalità. Una vasta ed ecumenica società finanziaria per la quale tutti gli uomini lavoreranno per creare un profitto comune nella quale tutti avranno una partecipazione azionaria. E ogni necessità sarà soddisfatta”. Fantastico!

Al di là del fatto che le guerre ci sono ancora, c’è di che riflettere. L’autore visionario si colloca a 180° rispetto alle visioni socialiste che avevano cambiato il mondo dalla metà del XIX secolo, quando Marx ed Engels scrivevano le loro riflessioni. E in opposto alle visioni operaiste e sessantottine di pochi anni prima, Chayefsky nel 1976 già descrive una “ecumenica comunità finanziaria” in cui “tutti gli uomini lavoreranno” (fondi, banche, investitori, risparmiatori e day traders) non già per gestire collettivamente i mezzi di produzione e distribuzione ma “per creare un profitto comune” e, in tale comunità, “tutti avranno una partecipazione azionaria”. Esattamente quello che sta accadendo oggi! Ovviamente facendo i dovuti distinguo…

Al posto della Tv c’è Internet; quindi, al posto della seduzione che organizza il consenso ci sono la sorveglianza e la censura; al posto delle corporation che producono e distribuiscono beni fisici, ovvero le maggiori aziende che erano quotate al New York Stock Exchange prima dell’avvento dell’era tecnodigitale, ci sono i Big della Silicon Valley e i Mutual Funds di Wall Street. Al posto del “profitto comune” c’è uno sterminato valore di scambio virtuale, n volte superiore al valore dell’economia reale, e da questo valore il potere trae il proprio profitto. Tale “profitto” è senza dubbio generato dalla collettività, ma la sua proprietà e la sua ridistribuzione non hanno niente a che vedere con il concetto “di patrimonio comune”.

Negli ultimi due secoli dello scorso millennio senza dubbio è cambiato lo stile del potere. Non ci sono più la teocrazia e l’aristocrazia; soprattutto non c’è più la democrazia come l’abbiamo conosciuta dal 1945 al 2001. Il timone della storia però è rimasto saldamente nelle mani di una oligarchia occulta e la rotta si traccia – come sempre – da un giorno all’altro, al variare delle alleanze e degli scontri al vertice, nonostante si faccia credere che esistano progetti e visioni di lunga durata. In sostanza la dimensione politica, in cui si effettuano le scelte, è controllata in ogni suo aspetto… oggi maggiormente dal potere tecnologico e dal potere finanziario concentrato nelle mani di pochissimi individui.

Questa epoca contemporanea, che in gran parte corrisponde a quanto descritto dal personaggio di Chayefsky, è definita in molti modi da diversi autori, qualcuno la chiama post democrazia, altri capitalismo della sorveglianza, grande reset o nuovo ordine mondiale; a me sembra però che sia una nuova forma di feudalesimo: un feudalesimo finanziario digitale. Perché?

In passato l’imperatore o il re, e i loro vassalli e valvassori, disponevano di terre, beni mobili, immobili e denaro fisico… tutto ciò costituiva il feudo. I proprietari del feudo concedevano ai loro sottoposti frazioni di territorio, e/o beni mobili e/o somme di denaro e tali concessioni non intaccavano le proprietà originali in quanto avvenivano in regime di comodato d’uso. La parte più bassa della gerarchia umana, ovvero i servi della gleba, grazie al proprio lavoro e alla propria creatività, faceva rendere al meglio le porzioni di feudo. Ciò che ne derivava, in termini di prodotti, servizi e monete, finiva in gran parte nelle casse della filiera gerarchica, fino a impinguare al massimo la corte del re o dell’imperatore. Ai servi restava solo il minimo indispensabile per sopravvivere. Era il feudalesimo: quello medioevale prima e quello moderno poi.

È andata più o meno così per secoli: dal IX al XVIII, fino alla Rivoluzione Francese.

“Stai tranquillo – diceva il dominus ai propri sudditi in quei rari periodi in cui non li usava per la guerra – tu pensa a lavorare e io ti difendo dai nemici”. In realtà non era proprio così, ma in ossequio a questa falsa promessa la gleba soddisfaceva le pretese economiche del dominus con doni di vario genere che giungevano “alla dispensa del signore” e financo talvolta subendo lo ius primae noctis. In sostanza la relazione si fondava sul comodato d’uso, grazie al quale l’1% (aristocrazia e clero) possedeva il 70-80% del tutto. Un po’ come oggi. Quasi sempre (ma non “sempre”) con i nomi dei padroni cambiati.

Con l’andar del tempo il potere, dilaniato dalle Rivoluzioni Americana, Francese e Russa, cambiò maschera e concesse che, i borghesi prima e i proletari poi, divenissero addirittura proprietari di beni, di terre e di mezzi di produzione, riservandosi però di gestire la forza lavoro nelle industrie e il “nuovo denaro” in forma di banconote, grazie a perverse alchimie di debito/credito, note oggi come “signoraggio bancario”.

Il denaro fino al 1971 era comunque garantito (backed) da qualcosa altro (oro, PIL) poi divenne, nell’era Nixon, fiat money, ovvero qualsiasi denaro che è accettato da un governo per pagare le tasse o il debito, ma non è ancorato o sostenuto direttamente dall’oro e da altri oggetti di valore. Il denaro fiat non ha un valore intrinseco significativo o un valore d’uso (per es. come una mucca o una pelle di castoro). La moneta fiat deriva il suo valore di scambio dall’ampio uso che ne fanno i mercati e i governi; le parti che si impegnano nello scambio si accordano semplicemente sul suo valore relativo in un dato momento. In qualche nazione sovrana è “creabile” dalle proprie banche centrali ad libitum senza dover troppo soffrire né dare spiegazioni… vedi quantitative easing recenti.

Una trentina di anni dopo quel fatidico 1971, succedono altri eventi straordinari. Nasdaq, il mercato dei titoli tecnologici di New York, nonostante la bolla del 2000, si rivela essere una straordinaria centrale di produzione di valore, specialmente per le società dette “.com”, quelle che oggi dominano la scena. Si innesca inoltre la sterminata valorizzazione di quei prodotti finanziari detti derivatives, i quali saranno messi sotto osservazione dal G20 a Pittsburgh nel 2009 quando, a causa della bolla dei subprime, i leader del mondo scoprirono che il loro valore ammontava già a 600 trilioni di dollari Usa.

Dopo qualche anno di osservazione e tentativi di riforma i derivati sono oggi pienamente riabilitati e la loro spregiudicata pericolosità è stata dimenticata. Questi fenomeni, esaltati dalla digitalizzazione degli scambi, cioè potenza di calcolo applicata ad algoritmi, sono favoriti anche dalla velocità delle reti e dall’ubiquità e anonimato dei soggetti attivi. In sostanza: le interazioni di questi fattori hanno prodotto una massa totale del valore quotato in Borsa che oggi non è più misurabile. Con un evidente eufemismo i tecnici parlano di quantificazione reale incerta. Il suo ammontare, infatti, calcolato in dollari Usa, è cresciuto a dismisura, negli ultimi 20 anni in modo caotico e incontrollato, al punto che non esistono misurazioni condivise di quanto “denaro” circoli nelle borse. Secondo qualche valutazione tale somma è quattro volte maggiore dell’intero Prodotto Interno Lordo planetario che nel 2019 ammonterebbe a una cifra compresa tra gli 80 (stime Fondo Monetario Internazionale) e gli 84 trilioni (stime World Bank), quindi 320 – 330 trilioni. Secondo altri “osservatori” però la somma del circolante nelle borse sarebbe 12 volte maggiore del PIL planetario. Di questo parere è la WFE (Federazione Mondiale delle Borse) la quale afferma che il valore totale dei titoli azionari sarebbe circa 100 trilioni di dollari; ma, udite, udite… il valore dei “derivati” sarebbe ormai giunto a 1 quadrilione… cioè 1.000 trilioni.

Capite bene che si parla di una somma iper reale, anche un po’ “astratta”, che sembra tratta da un delirio di Paperon de’ Paperoni. Una somma non traducibile né riconducibile a beni, prodotti o servizi dell’economia reale, ma definita al dunque fiduciary money ovvero scambiabile – ci mancherebbe altro – ma sulla base della fiducia reciproca degli operatori finanziari. E tale somma sarebbe destinata ad aumentare!

In questa scena tecno-digitale-finanziaria nella quale i valori monetari, ormai mossi da Intelligenze Artificiali, si autoriproducono in modo esponenziale e la Cupola degli operatori finanziari diventa la garante del valore astratto, i nuovi domina capirono, già una decina di anni fa, che era possibile instaurare nuovi rapporti feudali con la base della popolazione. Come?

Se teniamo a mente che:

  1. negli ultimi 25 anni la terra coltivabile e sulla quale costruire viene affiancata in progress da nuovi territori (domains) digitali quali .com, .edu, .info, .world, etc.
  2. dallo sfruttamento di tali territori (domains) e dallo sfruttamento del mondo digitale nel suo insieme, fondato sulla potenza di calcolo numerico, giungerà la futura produzione di ricchezza. (Così si afferma!)
  3. tali territori (domains) sono estendibili a infinito e vengono dati in comodato d’uso, specialmente nel caso dei social network, affinché i membri più evoluti delle comunità (più di 1 miliardo di umani) vi esercitino la loro capacità produttiva e il loro talento, in forme apparentemente indipendenti e tendenzialmente volontaristiche e gratuite.
  4. il denaro che viene prestato da chi ne ha facoltà a individui, aziende e stati attraverso complicate alchimie arriva da apparenti Big-Bang “Nulla-Tutto” (vedi recenti “quantitative easing”) ed è diventato potenzialmente illimitato.
  5. tale denaro in progress godrà in futuro anche del sostegno esponenziale di valuta digitale (bitcoins and Co.) considerata anch’essa fiduciary money.

Se teniamo a mente queste considerazioni, la scena futura si chiarisce meglio: si dirada la nebbia del Neoliberismo, ancora fondato su materie prime limitate che rendono il dollaro oscillante e rissosi confronti con la forza lavoro e i consumatori e… sorge il sole del great reset tecno-finanziario.

I feudi contemporanei non sono più le terre, i beni fisici e il denaro garantito da oro o altro, ma i territori digitali deregolati e tendenzialmente privi di quei noiosi limiti tipici del mondo materico. E il denaro virtuale, ovvero il valore di scambio prodotto nelle borse digitalizzate, diventa garanzia, giustificazione e linfa di quei nuovi feudi. A questo punto la dimensione astratta di feudo a-materico si libera totalmente dalla dimensione fisica e diventa un Cloud tendenzialmente infinito, in quanto i territori digitali sono tendenzialmente producibili a infinito e le masse di valore di scambio anche, in quanto scollegate dall’economia reale e fondate invece sulla fiducia. Il tutto al di là del controllo degli Stati e dei limiti dello sviluppo della tradizione newtoniana.

Ecco, dunque, la rotta: portare le vecchie costituzioni in soffitta; controllare poche e selezionate Agenzie delle Nazioni Unite con flussi di denaro virtuale, affinché prevalgano i trattati internazionali; mantenere al G20 il dialogo tra le oligarchie e … viaggiare sereni verso il transumanesimo.

Sono sotto gli occhi di tutti i primi effetti devastanti del Nuovo Feudalesimo: sull’occupazione, sull’organizzazione sociale a base familiare e sul controllo sanitario. Ogni bioetica precedente lascia il campo alla biopolitica dei domina.

Questa è la situazione oggi. Il coito incessante e appassionato tra i Big digital, cioè FAGAM (Facebook, Google, Amazon, Microsoft) e dintorni e i big della finanza digital cioè i mutual funds e le grandi banche d’affari, grazie (anche) alla crescita vertiginosa di Nasdaq e NYSE durante la pandemia, ha dato vita a una dinastia di nuovi poteri paraocculti e transnazionali; una dinastia fatta di intrecci azionari e consigli di amministrazione che si controllano e si fondono l’uno con l’altro affidandosi alla mediazione degli studi legali internazionali come una volta si affidavano ai matrimoni nelle cattedrali. Il nuovo vertice, come ai tempi delle monarchie tra loro imparentate, si comporta in modo feudale: da in “comodato d’uso” porzioni di territorio digitale (server, potenza di calcolo, cloud, etc.) agli individui e alle aziende e porzioni di fiat e fiduciary money alle tesorerie degli stati privati della sovranità (i vassalli), che grazie ai valvassori (il sistema bancario) le allocano a individui, famiglie e aziende piccole e medie (vedi in Europa il MES o il Recovery Fund). Tutti i comodatari: sia grazie al lavoro che alla creatività “coltivano e ottimizzano” le porzioni di territorio digitale e di credito che vengono loro concesse in comodato d’uso e remunerano gli strati intermedi e il vertice della piramide dei domina. La remunerazione avviene soprattutto: attraverso consumi superflui di beni e servizi multinazionali; spese indotte per la salute individuale e collettiva; tasse dirette e indirette che attraverso gli stati finiscono nelle casse dei domina in forma di interessi sul debito pubblico, al punto che ormai l’1% possiede il 99% della ricchezza mondiale.

Di fatto, nel triangolo indispensabile alla produzione di ricchezza: “denaro, infrastrutture, capitale umano”, quest’ultimo è ridotto da forza lavoro in grado di contrattare al ruolo di servi della gleba “comodatari”. Non è un caso che le grandi proprietà, nelle diverse aree strategiche, si stiano concentrando nelle mani di soggetti che sono sempre più interconnessi tra di loro e che il futuro digitale sia orientato a dare in “comodato d’uso” ogni strumento di controllo, produzione, apprendimento e trasporto.

Quali proprietà restano nelle mani dell’ex borghesia e degli ex proletari? Le terre, gli immobili e i risparmi. Le prime due saranno sempre più oggetto di tasse progressive non sopportabili. Mentre i “risparmi”, entrati da tempo nel mirino degli avidi “raccoglitori” e “investitori per tuo conto”, grazie a un forsennato pressing promozionale e al fatto che le alternative agli investimenti diventano sempre più tassate e rischiose, vengono deliberatamente affidati dai nuovi servi della gleba alla gestione dei domina, i quali li rollano nelle borse, ridistribuiscono qui e là un po’ di profitto ma li usano per rafforzare la propria egemonia. In alternativa i risparmi vengono direttamente “investiti”, grazie alle piattaforme di brokers online dai day traders a caccia di profitti facili. In questi casi valgono sempre di più le leggi del casinò e si sa che i croupiers vincono sempre. Inesorabilmente si passa così da globalizzazione e glebalizzazione tecnofinanziaria.

Diventano sempre più strategiche le “infrastrutture fisiche” e in particolare il sistema nervoso centrale delle comunicazioni globali, ovvero quel complesso sistema fatto di cavi, satelliti, tralicci, antenne e dintorni, la cui funzione è distribuire e diffondere contenuti e consentire transazioni finanziarie a distanza. Qui la partita vede i cavi al primo posto, tant’è che è in corso una forsennata azione di posa transoceanico di cavi sottomarini, stesi per migliaia e migliaia di chilometri. Guarda caso i principali attori di questo business sono le società del FAGAM – Facebook, Google, Amazon, Microsoft insieme alle grandi società telefoniche e alle banche d’affari, ovviamente. Sul fronte del trasporto segnali da satellite invece si muove, quale avanguardia, l’onnipresente Mr. Tesla, Elon Musk che con il suo progetto SpaceX vuole mettere in orbita bassa 12.000 satelliti, cioè 2.000 in più di quanti ne sono stati messi in orbita dal 1957 a oggi.

È superfluo ricordare in conclusione che tutte le aziende coinvolte nel nuovo feudalesimo sono ipervalutate in borsa e che i loro titoli vengono scambiati h 24 da decine di milioni di traders grandi e piccoli che comprano e vendono con PC e smart phone da ogni angolo del mondo. Ecco perché, come diceva Chayefsky 50 anni fa: “Non esistono più né nazioni né popoli… ma una vasta e ecumenica società finanziaria per la quale tutti gli uomini lavoreranno per creare un profitto comune e nella quale tutti avranno una partecipazione azionaria.”

A Parigi, con una venatura di sarcasmo si direbbe: “Impeccable!”






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