martedì 5 Novembre 2024
In evidenzaIl mio ricordo di Gianni De Michelis (di Carlo Troilo)

Il mio ricordo di Gianni De Michelis (di Carlo Troilo)

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di Carlo Troilo

Quando Enrico Manca, di cui ero stato capo ufficio stampa al Ministero del Commercio Estero, non fu chiamato a far parte del nuovo governo, mi trovai in un momento difficile perché all’IRI  non gradivano il mio ritorno (ero stato capo ufficio stampa dell’Istituto ma ero uno dei giovani dirigenti invisi al ministro Bisaglia ed al presidente Sette). Grazie alla segnalazione di Manca (ma anche al buon nome che mi ero fatto al MINCOMES) fui richiesto come capo ufficio stampa da due ministri socialisti, Balzamo e Signorile, e alle Partecipazioni Statali, dove Gianni De Michelis era stato confermato ma era rimasto privo del capo della Segreteria Tecnica, Gianfranco Mossetto.

Dopo un breve periodo anche il capo ufficio stampa, Guglielmo Trillo, lasciò il ministero per passare ad altro incarico, e così Gianni, con il quale avevo trovato subito una piena sintonia, mi chiese di assumere l’interim dell’ufficio stampa, che poi tenni per tutti i due gli anni di collaborazione con De Michelis.

Alcune caratteristiche mi colpirono subito in De Michelis e resteranno sempre nel mio ricordo.

  1. La prodigiosa intelligenza. Gianni era  laureato in chimica ma quando doveva presiedere una riunione su un’altra materia – ad esempio, la siderurgia –  si faceva preparare degli immani dossier, li faceva caricare nel bagagliaio della macchina e li portava con sé nella sua “sede” dell’Hotel Plaza, dove li divorava velocissimamente, così che nel giro di pochi giorni era in grado di discutere come se fosse un grande esperto di siderurgia.
  2. La capacità di lavoro. Non ricordo – pur avendo avuto diversi incarichi impegnativi  – un periodo massacrante come i due anni con De Michelis. Spesso, quando si andava fuori Roma per impegni ministeriali, si finiva tardi la sera, si cenava alle ore piccole, poi – non essendoci più voli per Roma – si andava in qualche discoteca, a prima mattina si prendeva un aereo e da Fiumicino Gianni si faceva portare direttamente in ufficio, per una delle sue giornate di 10-12 ore. Ogni mattina io andavo in motorino al Ministero alle sette, estraevo gli articoli principali della giornata, mi annotavo i punti su cui secondo me il ministro doveva prendere posizione e, sempre in motorino, raggiungevo Gianni al Plaza e concordavamo il programma della giornata.  
  3. La puntualità degli obiettivi ed il respiro delle iniziative. Quando arrivai al Ministero, De Michelis aveva già organizzato una prima conferenza regionale delle PP.SS. Visto il successo della iniziativa, Gianni mi chiese di organizzarne ancora una paio nelle regioni con maggiore presenza delle imprese pubbliche. E quando ancora ero impegnato con (esemplifico) la Liguria e la Lombardia, Gianni mi chiamava e mi pregava di pensare ad un altro paio di regioni. Le conferenze regionali (dieci in meno di un anno) erano una macchina infernale che metteva insieme: gli enti di gestione (IRI, ENI, EFIM); le finanziarie di settore e le loro principali aziende operanti nelle singole regioni; gli enti locali (regioni, province,comuni); le imprese private della regione; i sindacati. A Napoli (sede: il Maschio Angioino) eravamo oltre 500 persone. L’obiettivo di queste conferenze regionali era quello di spingere le aziende a partecipazione statale a divenire il motore della industria della regione, favorendo la nascita del famoso “indotto” e stimolando le capacità imprenditoriali latenti. Dunque, il contrario delle “cattedrali nel deserto”.
  4. La generosità personale. Un giorno andai da lui, gli espressi il mio dissenso per alcuni aspetti della attività della sua segreteria e gli dissi che avrei voluto in qualche modo tornare a lavorare nel gruppo IRI.  Qualunque altro “potente” mi avrebbe buttato fuori dalla sua stanza. Invece Gianni non solo non la prese a male ma mi aiutò molto attivamente a tornare alla base come direttore dei “rapporti con le istituzioni” della STET, la più potente delle Finanziarie del Gruppo IRI.
  5. Il coraggio. Fra le tante “operazioni a rischio”, ricordo in particolare un giorno in cui – nel pieno di un drammatico sciopero all’Alfasud –  Gianni accettò di andare a parlare agli operai nel piazzale della grande fabbrica, da un palco collocato dalla parte opposta rispetto alla “Palazzina comando” ed agli uffici in cui rifugiarsi se le cose si fossero mese male. Alla fine del suo lungo e appassionato intervento – volto a spiegare  il perché delle scelte aziendali contestate dai lavoratori – Gianni passò impavido fra due ali di operai minacciosi, seguito dai giornalisti che io, un po’ incautamente, avevo portato al seguito.

De Michelis, secondo me, raggiunse il culmine della sua capacità di governo e della sua visione del mondo come ministro degli Esteri, ma di questo ha già parlato Giuliano Amato, e tanto basti.

Io ebbi ancora una importante occasione di collaborare con De Michelis quando lanciò, come ministro del Lavoro, il progetto dei “Giacimenti culturali”: una idea che certo avrebbe potuto essere migliorata nel corso degli anni ma che non esito a definire “geniale”, soprattutto se penso al nulla che è venuto – dal 1986 ad oggi – dai vari ministri che si sono succeduti nell’incarico. I “Giacimenti” consentivano di mettere insieme due obiettivi: la valorizzazione dello sterminato patrimonio culturale del Paese e la creazione di migliaia di giovani esperti nei vari campi della ricerca di siti, della organizzazione dei musei, della catalogazione, del restauro e così via.  Visti i  miei precedenti rapporti con De Michelis mi riuscì abbastanza facile convincere l’IRI a dar vita ad un Consorzio di aziende del Gruppo interessate. Ne facevano parte aziende della STET e della ITALSTAT, l’ITALSIEL e la RAI; lo chiamammo IRIS e sono sempre grato a Romano Prodi, all’epoca presidente dell’IRI, per aver accolto la mia candidatura a dirigere la nuova creatura. Il progetto più importante fra quelli approvati e finanziati dal governo fu quello di IRIS mirante alla informatizzazione del Sistema Bibliotecario Nazionale, che si è realizzato con successo e che, fra l’altro, ha consentito di formare qualche centinaio di qualificati bibliotecari.

Il progetto dei “Giacimenti culturali” non fu mai rifinanziato, a dimostrazione del fatto che purtroppo i nostri politici – salvo eccezioni – lasciano  cadere tutto ciò che non è di loro “invenzione e proprietà”. Una vicenda simile la vissi con Enrico Manca quando fui il suo portavoce alla Presidenza della Commissione Industria della Camera. Manca ed io mettemmo insieme gli “Stati Generali della Innovazione Tecnologica” (da Agnelli a Pirelli, nella Sala della Lupa non mancava un solo “capitano di industria”)  da cui derivò la legge 46 su questa materia, che stanziava 600 miliardi (per il primo anno) per il finanziamento di progetti di innovazione di prodotto o di processo. Era ed è una esigenza primaria per lo sviluppo della ricerca applicata all’industria, ma ciò malgrado la legge non fu rifinanziata l’anno successivo.

Ho ricordato i due dirigenti socialisti di cui ho avuto l’onore di essere  collaboratore ed amico, ma mi sembra giusto ricordarli assieme a Craxi, Amato e Martelli: un gruppo dirigente quale l’Italia non ha mai avuto, che a Rimini trovò, nello slogan de “I meriti e i bisogni”, il suo punto più alto di pensiero politico.    






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