Alcune mattine fa, il giornalista e conduttore Gianluca Nicoletti, nella sua trasmissione mattutina su Rai 24, ha indetto un sondaggio tra i suoi ascoltatori con cui chiedeva di scegliere cosa avrebbero eliminato o volentieri fatto a meno, di alcuni “riti” consueti cui assistiamo ogni anno.
Fra i molti, anche il discorso del Presidente della Repubblica a fine anno, quello del Papa ma anche il festival di Sanremo, che a suo dire non meritava le polemiche che lo avevano circondato.
Al quesito ognuno ha risposto in base ad umori personali e retorica disfattista.
Ma poiché non tutti i desideri sono realizzabili questi “riti” saranno mantenuti.
Quello che è certo, ed appare evidente, è che questo 70mo Festival di Sanremo nasce con molte polemiche e tanta cattiva ma pur sempre utile pubblicità. Dovere e diritto dell’informazione hanno fatto il resto superando i connotati naturali di quest’evento.
A partire dalla conduzione, chi e quanto? Alle presenze “altre” come quella della giornalista Rula Jebreal presentata come la voce delle donne e dei loro diritti, la presentazione alla stampa delle co-conduttrici-vallette-figurine-accompagnatrici, la selezione dei partecipanti canori alla kermesse.
Nel cercare ogni anno di proporre un’immagine nuova ad un Festival nato nel lontano 1951 per risollevare lo spirito nazionale anche attraverso la melodia, il palco di quest’anno appare scivoloso come se i fiori sanremesi (pedigree della zona) fossero stati appena annaffiati.
Pur presenti vecchi volti della tradizione sanremese, come Rita Pavone e altri, le nuove voci sono al centro dell’interesse e del business che ruota intorno al Festival. In questa manifestazione “canora-popolare” il cambiamento non può che passare attraverso i testi e gli interpreti. Nuovi contenuti e interpretazione moderna.
La tradizione musicale italiana ha sempre evocato i passaggi della vita e i sentimenti di un popolo: famiglia, amore, amicizia, sventura, speranza, sogno.
Altrettanto, senza arrogarsi il ruolo di storici musicali, si può constatare che ogni forma di musica non si è sottratta ai cambiamenti della propria epoca, fosse essa lirica, operetta, romanza o canzone di regime ecc.
Punto di forza del racconto testuale e ispiratore di gorgheggi e sospiri, la centralità della presenza femminile attraverso sentimenti contrastanti: amore-passione, abbandono-tradimento, devozione-sostegno, malizia-ingenuità, cuore-corpo.
Alcuni dei titoli, non in modo temporale o di appartenenza: Cammisella, Malafemmina, Comme facette mammeta, La donna riccia, Occhi di ragazza, Patatina, Donna amante mia, Sei la mia donna, Le donne amano, Voglio una donna, Le ragazze serie, Le vibrazioni di una donna, Una donna da sognare, Una donna può cambiar la vita, Come guarda una donna, Ragazza magica, Saprai di donna, Le donne ci conoscono, La donna cannone, Pazzo di lei, Mi fai stare bene, Ti penso raramente, Chiedimi scusa, Malatia Solo lei ha quel che voglio, Te voglio bene assaje, A sonnambula, Parlami d’amore Mariù, Signorinella pallida, Tu sì na’ cosa grande, Core n’grato, I’Te vurria vasà, Chella lla, Io Mammeta e Tu, Lazzarella ecc. o, in un piccolo spiraglio di orgoglio e rivendicazione del sé da parte di alcune autrici, titoli come: Il talento delle donne, Essere una donna, Noi brave ragazze, Femmina alfa, La vita è femmina, In nome di ogni donna, Donna libera, La borsa di una donna, Siamo Donne, Io di te non ho paura, Quello che le donne non dicono ecc.
Per non perdere l’arte melodica nell’introdurre nuove musicalità, la musica che appartiene alla nostra tradizione canora è stata conservata, interpretata o reinterpretata anche da molti giovani cantanti che le hanno incluse nel proprio repertorio rendendo possibile la comunione tra queste e ritmi assolutamente diversi, coniugando arte e tradizione nello stesso tempo.
Però bisogna tenere presente che, specie fra i giovani, i gusti sono cambiati.
Inevitabilmente sulla scena musicale internazionale ma anche italiana, si sono affacciati nuovi cantanti-personaggi che non avrebbero trovato spazio neanche nel secolo passato. Lo scarto tra il ‘900 e il 2000 ancora in corso, ha fatto solo capolino!
Oltre ai sentimenti umani, inevitabilmente, i loro testi vogliono rappresentare i loro punti di vista verso un mondo-società in via di evoluzione-involuzione di cui sono portatori-fruitori-vittime secondo un proprio punto di vista.
La partecipazione o la tolleranza sviluppata nel tempo verso queste nuove forme di musica, che gode della possibilità di rappresentarsi attraverso i social in un mondo globale, di essere ascoltati e a disposizione di tutti senza necessariamente adeguarsi alle mode ma creandone di nuove attira l’attenzione nel giro degli affari in questo ambito. Non a caso, la partecipazione a questa competizione canora viene considerata dai protagonisti l’occasione della vita per passare dall’ombra degli sconosciuti alla luce del successo.
Nelle polemiche che si sono sollevate in questa occasione festivaliera, si è particolarmente acceso uno scontro tra chi voleva-vuole la partecipazione di un cantante, Junior Cally, e chi non lo ritiene idoneo a questa competizione.
Quale è il nocciolo? Questo giovane rap nel suo esternare musica e malessere, è stato in passato il creatore di un testo intriso di messaggi pericolosi specialmente per un pubblico giovanile sempre più teso all’imitazione che alla crescita personale. Nel suo curriculum brilla la canzone “Strega”, in un delirio di potenza, violenza ed insulti, d’istigazione ai maltrattamenti e alla discriminazione di genere, e si sa che le streghe vanno messe al rogo.
La sua presenza in una manifestazione che mette in gioco il servizio pubblico della RAI, specchio di una società e di quello che dovrebbe essere, di riconoscimento fuori confini è apparsa inopportuna.
Le maggiori oppositrici a questa presenza sono state e sono le donne, in una voce unica di protesta, che hanno scritto ai vertici Rai ma anche alle Istituzioni perché non fosse permesso a questo rapper di salire sul palco.
Il fatto che questa canzone non sia quella in concorso infatti non deresponsabilizza l’autore da ciò che esprime. Parole che se fossero state dette in altra location che non fosse il palco, avrebbero giustamente richiamato l’intervento della pubblica sicurezza per violenza verbale e istigazione a quella fisica.
Dovere accettare ogni volta che “Sanremo è Sanremo”, ovvero tutto debba essere concesso, non è giusto.
Quando il “rap” non era ancora diventano cultura (quasi sempre del disagio), non era approdato nel nostro Paese, i giovani utilizzavano anch’essi la canzone come forma di protesta ma utilizzando a tale scopo originalità interpretativa dove il testo e l’interprete erano espressione riconoscibile da tutti.
Infine la responsabilità della musica, restituita con onore in quella tramandata da secoli, ha il ruolo di cancellare le differenze nel mondo e non di aizzarle contro.
La musica dovrebbe possedere una sua universalità in grado di accompagnare i tempi, e la storia, rivolgendosi ad un vasto pubblico, una funzione educativa che non deve offendere ma educare.
La musica ha accompagnato spesso le vite, dei più o meno giovani, legandosi alla’infanzia e ai momenti importanti nei passaggi della vita.
Una funzione rigenerante che non possiamo pretendere ma auspicare a Sanremo come su ogni altro palco.