E’ uscito il 22 Febbraio 2021 il primo album di Roberto Procaccini, “Verticale”. Si tratta di un album intimo, personale, alla ricerca di se stesso e attraverso una delicata riflessione sul tempo che passa e sul tempo da rincorrere. Una riflessione frutto del suo vissuto come artista e come uomo, dopo anni di collaborazioni con grandi artisti come Max Gazzè, Carmen Consoli e Paola Turci, tra gli altri.
Dopo anni di collaborazioni, si può dire che con “Verticale” esce fuori il vero Roberto Procaccini?
Sì, assolutamente. O per lo meno è il primo di altri passi che verranno per poter continuare il viaggio in verticale di conoscenza e riscoperta. L’importante era mettersi a nudo e non rifugiarsi in ‘comfort zones’ che avrebbero finito col disperdere la determinazione con cui ho affrontato il viaggio. Per farlo ho voluto bandire un certo aspetto estetico della musica (che spesso arriva in automatico) per concentrarmi sulla sostanza, la sola capace di descrivere al meglio ciò che volevo rappresentare. Per fare tutto ciò ho dovuto ricercare un linguaggio che sintetizzasse le mie tante e diversissime influenze musicali e creare un mondo nuovo ed omogeneo. Mi riesce difficile etichettarlo o taggarlo, ma ciò che alla fine è importante è che mi ci riconosca al 100%.
Beppe Vessicchio e Max Gazzè definiscono il tuo album come “un luogo confortevole”, “una stanza della creazione”. Come nasce il processo di creazione di un album così riflessivo?
Nasce da un’esigenza interiore e profonda che personalmente non avevo mai provato prima. Non credo esistano regole o percorsi stabiliti, ognuno asseconda la personale motivazione, cercando di usare il proprio mezzo artistico per riuscire a descriverla come può. Alla fine ciò che conta è il livello di comunicazione e di empatia che si riesce a stabilire. Sono convinto che la musica abbia un potere evocativo enorme. Maggiore è questo potere, più alto è il livello di comunicazione che riesce a stabilire, più limpido è il processo di causa ed effetto.
Ti sei servito di un viaggio come fonte di ispirazione. Una tappa cruciale del tuo processo di creazione?
Non una singola tappa, ma diverse, e tutte legate ai momenti di confronto con amici e persone fidate durante la lavorazione. Sembrerà banale, ma per me il confronto non è mai stato facile proprio per via di quelle insicurezze che con questo disco ho affrontato. Cogliere le loro reazioni, le impressioni ma anche i suggerimenti e i consigli, sono stati per me momenti di crescita impagabili e presa di coscienza di essere sulla strada giusta.
Una riflessione sul tempo che spazia da quella di un tempo da ricordare e da vivere. Come si trasmettono queste emozioni con la musica?
Io ho seguito il mio istinto, il mio approccio e le mie risorse artistiche come strumenti per definire dei mondi sonori, quindi per ognuno è diverso. Di sicuro per descrivere il tempo mi sono preso del tempo, inteso come spazio musicale. I brani hanno un’evoluzione continua, a volte lenta, a volte rapida. Ho usato elementi minimali al centro di mondi sonori poderosi per descrivere una fragilità nel caos, ho usato loop melodici che variano dinamicamente da pianissimo a fortissimo per rappresentare la ripetitività delle nostre azioni all’interno di un mondo che ci cambia intorno. Non sono state scelte consapevoli, ma se mi guardo indietro e riascolto, riconosco ciò che volevo dire. E per me è un traguardo importante.
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