È uscito il 19 gennaio 2022 I Re di Sangue, romanzo epic fantasy che segna l’esordio di una nuova penna della scena italiana, Matteo Glendening, accompagnato dalle illustrazioni di Giorgia Mameli.
Classe 1998 e dall’animo cosmopolita – date anche le sue origini romane, siciliane, inglesi e svedesi -, appassionato e studioso di sociologia del potere, Matteo Glendening debutta con una riflessione in chiave epic fantasy sul concetto universale di potere e popolo, società e politica ambientata in un tempo sospeso e in una terra forse lontana o forse fin troppo vicina.
Un romanzo di genere e in pieno stile che si fa specchio e interprete della visione politica e sociologica delle nuove generazioni, di quella Generazione Z dal profilo sfocato che affida alla metafora letteraria la sua riflessione sul contemporaneo.
Abbiamo intervistato l’autore, ecco cosa ci ha raccontato.
Nel costruire e analizzare una narrazione, nel 2022, non si può prescindere dal rapporto di parità o di subalternità che viene creata tra uomini e donne. Come hai lavorato sui personaggi maschili e femminili e sui loro rapporti all’interno di questo sospeso tempo medievale?
Questo è stato un processo molto difficile. Ovviamente la condizione della donna in una società come quella che ho creato è estremamente diversa rispetto a quella attuale. Ho voluto creare dei personaggi femminili molto intraprendenti, già in posizioni di potere, proprio per mostrare come, nonostante questo, la condizione femminile era subordinata a quella maschile. In altri casi, ho costruito personaggi femminili più deboli proprio per mostrare le difficoltà in cui incorrevano. C’è anche chi, da posizioni di potere e con una forte personalità, riesce ad assumere un ruolo fondamentale, affrontando tutte le avversità. Si spera solamente che i personaggi femminili de “I Re di Sangue” possano farsi valere e possano raggiungere i loro scopi.
Come hai lavorato sui personaggi principali e su quelli secondari?
Sui personaggi principali c’è stato un lavoro molto più meticoloso. Conosco re Steffard meglio del mio migliore amico ormai, so esattamente come si comporterebbe in qualsiasi situazione. Anche sui secondari c’è stata molta attenzione, il tutto per rendere il mondo coeso, realistico e variegato.
Dal punto di vista di costruzione letteraria a cosa ti sei ispirato, a quale stile e a quale metodo creativo hai guardato?
Scrivere un romanzo fantasy è complesso. Anche lo stile deve essere ponderato meticolosamente. Si rischia di appesantirlo molto per spiegare per filo e per segno le caratteristiche del mondo inventato. È stata un’esperienza nuova e lunga, spero di aver raggiunto il giusto equilibrio. Difficile dire con esattezza a chi mi sono ispirato, sicuramente ho sempre tenuto a mente la necessità di utilizzare uno stile il meno possibile pesante.
Quali sono i tuoi autori di riferimento?
Sono un grande appassionato delle opere di George R.R. Martin. Lui è il mio punto di riferimento assoluto. Amo il modo di scrivere di J.K. Rowling, Christelle Dabos e Suzanne Collins. Nel panorama italiano non posso fare a meno di guardare ad Alessandro Baricco, anche se lo stile di scrittura che ho adottato per questo romanzo è ben lontano dal suo.
Sei giovanissimo quando hai iniziato a dedicarti alla scrittura? E quando è arrivata l’idea di dare vita a un romanzo di genere?
Scrivo storie da quando sono piccolo. Sono sempre stato un calderone di idee e ho scritto racconti di diverso genere. Mentre scrivevo “I Re di Sangue” qualcosa dentro di me mi ha fatto dire: “ecco, è quello giusto.”
Le tue influenze cosmopolite hanno influito nella creazione di un universo articolato come quello de “I Re di Sangue”, dagli echi vichinghi e al tempo stesso antico-romani?
Sì. Non volevo creare una società monocolore. Volevo dargli diverse sfaccettature, inserendo le popolazioni che più mi affascinano. Società feudale, vichinghi e eserciti romani si mescolano per creare diversi punti di vista e dare più colori alla storia.