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venerdì 29 Marzo 2024
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La difesa della modernità di Alain Touraine

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Nel suo ultimo libro “In difesa della modernità”, il sociologo francese, Alain Touraine, sostiene che, mentre per i Greci era centrale la preoccupazione di una “verità” immutabile come garanzia dell’ordine, la “modernità” si sarebbe allontanata da una tale ricerca di stabile e confortante conoscenza, scoprendo il fascino del movimento che consisterebbe, in buona sostanza, nella raggiunta coscienza dell’uomo di non essere più “creatura” ma “creatore” di se stesso.

Quanto alla società, Touraine, dopo avere introdotto nel linguaggio comune dei nostri tempi il termine post-industriale, ritiene che la società non sia un monolite statico e omogeneo ma che sia, invece, formato da insiemi in continua trasformazione, mai definiti e finiti. In altre parole, la società produrrebbe se stessa, trasformandosi; non, però, autonomamente, ma secondo una programmazione del potere tecnocratico che ormai la dominerebbe.

Alain Touraine
Alain Touraine

Altra intuizione importante del sociologo francese è il rilievo preponderante che assumerebbe nelle società avanzate il settore dei servizi; e segnatamente – aggiungo io – del credito e dell’informazione, entrambi per giunta nelle stesse mani per ciò che riguarda il mondo occidentale (e forse non solo).

Rilievi altrettanto significativi si riscontrano nell’opera complessiva di Touraine che ha previsto in anticipo sui tempi una progressiva mondializzazione dell’economia e la crescita del potere finanziario. Quest’ultimo, assumendo il pieno controllo del mercato, indebolirebbe il potere dello Stato e la sua capacità di intervenire nella società e renderebbe inutilizzabile la stessa nozione di democrazia (oltre che di Nazione, di Classe e di Famiglia).

Il sociologo francese nutre due forme di ottimismo che mi lasciano perplesso e propone una considerazione storica che non condivido se non con un personale aggiustamento di tiro. La prima forma (che sembra) di speranza riguarda la crescita dei movimenti sociali di rivendicazione di “diritti umani”, riguardanti l’ambiente, l’informazione, la formazione culturale, i rapporti di genere, gli orientamenti sessuali; la seconda (più certa) immagina una rivoluzione culturale affidata alle donne (Cfr. il suo libro: Il mondo è delle donne) foriera di una nuova e positiva esperienza collettiva.

Il primo ottimismo è contraddetto, a mio parere, da un’affermazione dello stesso Touraine di una società programmata dal potere tecnocratico che è del tutto incompatibile con la visione di una società finalmente dominata dall’individuo (altra affermazione del sociologo francese). Orbene, il potere tecnocratico, in un Occidente in preda a una forma esasperata di capitalismo monetario, si caratterizza soprattutto come potere delle grandi centrali finanziarie di Wall Street e della City e non è certamente da escludere che i movimenti:
a) ambientalisti siano da esso finanziati in funzione anti-industriale per creare più consistenti e diffusi bisogni di credito delle imprese del settore;
b) quelli per l’informazione (e di conseguenza: per la formazione culturale) sono sostenuti in vario modo (proprietà, credito) con il fine di contrastare (per eliminare) il pericolo di un’informazione libera e incontrollabile da parte del Web che si contrapponga e quella “pilotata” dalla stampa e della radiotelevisione, prevalentemente in mano degli istituti di credito.

Il secondo ottimismo, condivisibile sotto il profilo delle qualità di cui le donne sono certamente portatrici per ragioni non solo psicologiche ma anche storiche, appare ancora lontano da una possibile meta, perché la società odierna continua a essere improntata (e rischia di esserlo ancora per moltissimo tempo) al patriarcato e al maschilismo che, inevitabilmente, ne consegue.

La considerazione storica che non condivido, se non condizionatamente, è la seguente: è verosimile che nel negare creatività al pensiero greco, Touraine abbia ritenuto di identificarlo interamente con la filosofia metafisica e iperuranica dell’autoritario Platone, la cui Accademia si preoccupò prevalentemente di distruggere, ridicolizzandola, la filosofia dei presocratici (Diogene con la lanterna alla ricerca dell’uomo, gli Stoici abbracciati alle colonne gelide, Epicuro tra crapule e lascivie e via dicendo).

Certamente l’Idealismo (con i suoi “derivati” sino agli epigoni tedeschi: Hegel e i post-hegeliani) intendeva essere una fucina di verità filosofico-politiche tendenti all’ordine più che al movimento, secondo la contrapposizione immaginata dal sociologo francese. La sua tesi, però, cadrebbe se il focus si spostasse sull’empirismo di Democrito, Lisippo, Epicuro (e su grande parte della filosofia dei pre-socratici in generale) che facendo derivare la conoscenza dall’esperienza, implicitamente, si muovevano già nell’orbita del movimento mutevole e non dell’ordine stabile.

Il fatto è che, verosimilmente, Alain Touraine si riferisce a ciò che avvenne come esito del conflitto tra le due opposte visioni della vita e della conoscenza umana. E in ciò ha ragione perché, insieme agli ecumenismi religiosi, gli universalismi filosofici e politici stravinsero. Le illusioni sull’ordine,sia di natura teologico-religiosa (giudaica e cristiana) sia di natura economico-politica (fascista e comunista) hanno dominato l’Occidente per troppo tempo.

Nell’intervista che il sociologo francese ha dato a Riccardo Mazzeo il 12.11.2019 egli, però, afferma, testualmente e perentoriamente: “io sono per l’universalismo, imprescindibile nel mondo globalizzato in cui viviamo”. C’è da chiedergli; ma il Dio dei monoteisti mediorientali e dei cristiani e cattolici in particolare, l’Io universale degli Idealisti da Platone ai post-hegeliani, la dea Ragione degli Illuministi francesi, tutti “universalisti” incalliti, non s’iscrivono tutti tra i fautori di una Società dell’ordine (divino o politico che sia) e non di certo di movimento?

E allora: come va intesa la sua invocazione degli “universalismi” nel mondo globalizzato (e, al tempo stesso, individualizzato)? Come la speranza e l’augurio di ritorno allo status quo ante?
No, a giudicare dal titolo del suo libro che parla di difesa e non di critica della modernità. Attendiamo, comunque, da Touraine, la risposta a Riccardo Mazzeo in una prossima intervista.






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