martedì 5 Novembre 2024
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La differenza tra territorio fisico e territorio digitale

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“La velocità elettrica mescola le culture della preistoria con i sedimenti delle civiltà industriali, l’analfabeta con il semianalfabeta e con il post-alfabeta. Collassi mentali di vario genere sono spesso il risultato dello sradicamento e dell’inondazione di nuove informazioni e di modelli di informazione incessantemente nuovi” (Marshall Mc Luhan).

Questa affermazione, del vate Mc Luhan, già da sola getta una luce sugli avvenimenti di questa nostra convulsa stagione e sulle interpretazioni che ne danno i Media Mainstream: giornali e tv di massa. I “collassi mentali” citati non sono però solo quelli, quasi inevitabili, dei lettori e dei telespettatori ma, soprattutto, sono rilevanti e preoccupanti quelli dei molti politici, giornalisti, giuristi e analisti che, ritenendosi esperti e vaccinati – o forse solo pagati per ritenersi tali – assumono posizioni e difendono/attaccano soggetti e istituzioni, credendo, per lo meno quei pochi in buona fede, di aver capito a fondo di che si tratta. E invece spesso non è così.

Uno dei temi che non viene digerito dai difensori della libera espressione è, fra gli altri, la differenza tra il territorio fisico e il territorio digitale. Il primo è fatto di solida materia (suolo, fiumi, montagne, etc.), è limitato dai confini naturali o geopoliticamente concordati; al suo interno vigono leggi e regolamenti ed esistono magistrati e tribunali che si operano per farle rispettare. Il territorio digitale, detto domain, invece rappresenta una novità nella storia giuridica. Al suo interno si rinvengono anche oggetti e infrastrutture materiali (cavi, satelliti, centraline, etc.) ma la sua totalità è prevalentemente fatta da infinite sequenze numeriche, che sarebbero “i contenuti” (testi, foto, immagini in movimento, 2D, 3D, etc.); non è limitato da confini di nessuna natura e anzi, potenzialmente si estende a infinito; ma soprattutto, si sovrappone in costante latenza a ogni territorio fisico esistente. Inoltre: nonostante esistano alcune leggi e regolamenti specifici qui e là, indicativamente in USA (Copyright Act), UE (GDPR), nella stessa Italia (Bill of Rights del Web), in Brasile (Marco Civil)… tali leggi e regolamenti non sono armonizzate tra loro, né fanno riferimento a trattati internazionali e non esistono magistrature specializzate né tribunali specifici in cui si applicano le citate norme su scala transnazionale.

Attualmente esistono ampi dossier, redatti dall’Antitrust USA e dalla Commissione Europea, per limitare lo strapotere dei social network, ma in entrambi i territori fisici sembrerebbe che i lobbisti degli Over the Top stiano rallentando i lavori con un certo successo. Comme d’habitude!

Ne consegue che il territorio digitale, specialmente se non si tratta di “country code”, ovvero .it, .uk, .fr, etc. ma di “domini generici di 1° livello” quali .com, .net, .info, .org, resta di fatto un territorio deregolato o diversamente regolato dal territorio fisico o regolato in progress al variare delle decisioni assunte dai portatori di interessi dominanti che su quel territorio agiscono da sempre, leggi: i giganti di Silicon Valley.

Per esempio, analizziamo il territorio “.com”. Qui un dominus .com, quale Facebook o YouTube, come un feudatario latifondista dello scorso millennio, concede ad un utente finale di “coltivare” una porzione infima (qualche megabyte all’interno dei suoi miliardi di terabyte) alle condizioni scritte e fatte approvare dal dominus stesso, che si riserva anche di cambiarle a suo piacimento senza darne preavviso. L’utente “accetta” e comincia a “coltivare” il suo orticello digitale (profilo, pagina FB, blog, canalino YT, etc.). Il dominus sorveglia dall’interno dei suoi algidi e remoti server; carpisce ogni dato che gli interessa, li rivende ai pubblicitari e si appropria di parte dei prodotti dell’utente quando li ritiene interessanti. Se l’utente però fa qualcosa che non gli aggrada, prima lo mette subdolamente in shadow banning e poi lo cancella definitivamente anche senza preavviso. In tal modo il dominus può creare molti danni e può talvolta infrangere norme addirittura costituzionali.

Molto spesso, dunque, non è l’utente che infrange una legge del proprio territorio ma è il dominus che “anarchicamente” se ne frega di infrangere leggi in vigore sul territorio fisico dell’utente. Non è giusto, ma lo fa… lo può fare, continua a farlo. Lo fa addirittura con un utente speciale quale il Presidente degli USA negli ultimi giorni in cui è ancora in carica. Lo fa infrangendo una legge USA, ma se ne frega, perché? Perché lo fa sul proprio territorio digitale. Quel “territorio” che il dominus ha acquisito dall’ICANN (ICANN è un’organizzazione promossa all’origine dal Ministero del Commercio USA, ma comunque di diritto privato). Ebbene, se si può dire che i creatori del territorio digitale sono soprattutto gli stessi domina che vi operano, c’è anche da notare che chi gestisce il “catasto digitale mondiale” e chi registra le attribuzioni di territorio non ha molto a che fare con i governi locali e le leggi dei territori fisici. L’unica struttura internazionale sovrannazionale coinvolta è la ITU – International Telecommunications Union perché rilascia gli IPV (le diverse versioni di protocolli Internet).

Ad onor del vero: non sono solo i domina che creano il territorio digitale, sebbene lo facciano credere. Chi crea “territorio digitale” sono, infatti, proprio quei miliardi di utenti che lo coltivano dal nulla informe dei bit and byte e gli conferiscono una forma. Ma gli utenti – società civile – popolo bue sono afoni nel dibattitto, in quanto rappresentati molto, molto maldestramente da esili e incerte organizzazioni e spesso i loro interessi sono usurpati da sedicenti ONG finanziate dalle stesse aziende per mettere a tacere le rivendicazioni della base annacquando le questioni. È più chiaro adesso? Speriamo di sì!

In sostanza si danno pochi scenari di riferimento in cui individuare soluzioni:

  1. Il governo di una nazione, possibilmente sovrana, per esempio, della Russia ma anche recentemente della Polonia, se ne frega di farsi imporre la deregulation tipica del territorio digitale e costringe il dominus con dure sanzioni a rispettare le leggi del territorio fisico al fine di difendere gli utenti nazionali. Questa soluzione però la applicano solo pochissimi Stati ed è in corso un continuo braccio di ferro tra loro e i Big Digital. Il rischio, sempre dietro l’angolo, è la frantumazione della rete Internet.
  2. Si giunge ad una governance di Internet in forma di trattato internazionale che, per il tramite delle Nazioni Unite, viene ratificato da ogni Stato aderente. Questo è un percorso intrapreso 15 anni fa da Kofi Annan, che finora non ha sortito grandi effetti se non il mantenimento del dialogo tra governi, aziende e società civile e conseguentemente ha impedito la frantumazione della rete.





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