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sabato 20 Aprile 2024
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La Dunkerque (sperata) dei banchieri

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A “Dunkerque” le truppe anglo-francesi subirono una sconfitta tragica di dimensioni colossali (e dagli aspetti incerti, tuttora non chiariti) che i nazisti delle Werhmacth speravano potesse essere il preludio a una vittoria definitiva nella guerra da essi intrapresa contro la maggior parte dei Paesi Europei.

Le guerre tra gli esseri umani non si combattono solo sui campi di battaglia e si possono condurre con mezzi diversi, ma lo scopo è sempre la distruzione, non necessariamente fisica, del nemico.

La fiducia che un massiccio attacco a Donald Trump, a Boris Johnson, agli uomini politici eurocontinentali accusati di “sovranismo” possa giovare al consolidamento dell’egemonia dell’alta finanza e del capitalismo monetario in occidente, attraverso il recupero delle posizioni perdute in Gran Bretagna e negli Stati Uniti d’America e il mantenimento di quelle ancora solide sugli Stati-membri dell’Unione Europea, ha attraversato in questi ultimi giorni momenti di particolare entusiasmo. I “banchieri” hanno sognato la loro “Dunkerque”!

In Italia, il “sovranista” leader della Lega, mai seguito dalla classe colta (e anche pseudo-colta) del Paese (soprattutto a causa di alcune sue manifestazioni da ex movimentista “in canotta”, poi adoratore trasversale, in felpa, di culti celtici e cuori immacolati di Maria) è stato, oltre che brutalmente detronizzato dal suo seggio ministeriale, sostanzialmente abbandonato da Silvio Berlusconi, letteralmente assediato dai suoi missi dominici inseriti nelle assisi internazionali più vicine al mondo delle banche.

Mentre nel Bel Paese, è ancora in atto una sorda lotta tra i “servitori”, ritenuti solidi e fidati, dell’Unione Europea e degli gnomi di Wall Street e della City, da un lato, e degli aspiranti servi considerati malfidati (o per pregresse disastrose, esperienze o per idiosincrasie personali), dall’altro, il fronte della guerra dei banchieri si è spostato nelle terre più lontane ma anche più eminenti del mondo anglosassone.

In Gran Bretagna, il pur tenace Johnson non trova pace non solo per gli assalti dei laburisti (come tutti i gauchiste ritenuti vicini al mondo delle banche, finanziatrici e creditrici del sistema mass-mediatico occidentale, strumento necessario per il consenso politico) ma anche di molti conservatori per ragioni varie, non necessariamente attribuibili a mala fede.

Giornali e televisioni descrivono dettagliatamente scene furiose della Camera dei Comuni, dove le accuse al Premier di nequizie e attentati alla vita democratica si susseguono a ritmo vertigioso.

Negli Stati Uniti d’America, dove il mondo dei WASP è più circoscritto e limitato numericamente e dove l’Alta Finanza ha addentellati più potenti (anche in settori religiosi diversi dal calvinismo anglicano) l’attacco a Donald Trump sta assumendo connotati di sempre maggiore aggressività e d’inconsueta violenza politica.

Lo speaker democratico della Camera dei rappresentanti, Nancy Pelosi D’Alessandro, si sta agitando (all’italiana e senza alcun understatement) per promuovere l’impeachment del Presidente della Repubblica Nord-americana.

Trump e Johnson
Trump e Johnson

Ora, però, mentre in Inghilterra la crescita economica del Paese è tuttora impedita dai “lacci e lacciuoli” posti dall’asfittica, perdurante incombenza dell’Unione Europea, da cui i britannici faticano a liberarsi (e ciò suona come ammonimento a tutti i “sovranisti” eurocontinentali), negli States Donald Trump ha già conseguito notevoli successi sul piano del benessere nazionale e sarà, quindi, più difficile mettergli i cosiddetti “bastoni tra le ruote”.

Naturalmente, contro di lui gioca un ruolo non indifferente, in aggiunta alla pecunia dei banchieri, l’invidia dei mediocri, che, come in ogni altra parte del Pianeta, occupano posti di rilievo nell’establishment dirigenziale e politico: gli spetta, in altre parole, lo stesso destino di Winston Churchill che dovette subire gli attacchi violenti di tutti gli inglesi che avvertivano simpatia per Aldolf Hitler.

Molti suoi connazionali, anche influenti, gli attribuirono lo smacco di Dunkerque, pur dovuto, secondo fonti autorevoli, solo all’imbecillità dei Capi militari dell’epoca.

Alla fine, però, Sir Winston ebbe la meglio e vinse la guerra. Certo: le votazioni elettorali gli preferirono il mediocre Clement Attlee che, privo di ogni merito, assunse il suo posto.

Questa dell’invidia per i grandi leader, è però, la forza utilizzata dagli avversari di tutto il mondo e risale alla pratica di Tarquinio il superbo che con una forbice bene affilata recideva gli steli di tutti i papaveri più alti degli altri, facendo nel regno vegetale ciò che gli uomini chiameranno nei secoli futuri, in modo sommario, giustizia sociale!

Se, in conclusione, Matteo Salvini, per sue colpe e per le distanze prese da lui dell’intellighentia europea sembra andare alla deriva, dopo il “ribaltone” macro e micro comunista, del governo di cui era Ministro dell’Interno; se Boris Johnson deve annaspare in acque rese tordide non solo dai laburisti ma da alcuni suoi stessi amici di partito e subire attacchi quotidiani nel Parlamento britannico; se di Donald Trump la democratica Pelosi chiede l’impeachment per avere egli invitato Autorità di altri Paesi “a indagare” su un cittadino americano (impeachment che sarebbe stato già poco comprensibile se a un’Autorità straniera fosse stato chiesto “di non indagare”, facendo cosa contraria ai suoi compiti e doveri istituzionali).

Sta di fatto, però, che la persona da indagare era Hunter Biden, figlio di Joe Biden, candidato alle presidenziali statunitensi, e la materia dell’indagine era ricca di risvolti politici. La società dell’avvocato statunitense, avente sede nel paradiso fiscale di Limassol, a Cipro si proponeva di fornire gas naturale all’Ukraina per sottrarla dalle dipendenza dalla Russia.

Orbene, se tutto ciò avviene a cadenze molto ravvicinate è comprensibile che i banchieri sperino in una ritirata e fuga dei “sovranisti” Occidentali (e non solo quindi europei) più rovinosa di quella dei francesi e degli inglesi di Dunkerque.

E’ bene ricordare loro, però, che nonostante la sconfitta subita in quella battaglia sulle coste francesi, Winston Churchill vinse la guerra per la sua intelligenza, sagacia e straordinaria tempra di uomo politico e di statista.

E vincere una guerra è più importante che prevalere in una battaglia.






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