venerdì 22 Novembre 2024
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La lezione di Enzo Biagi

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Oggi 6 novembre ricordiamo Enzo Marco Biagi, maestro indiscusso della perigliosa arte dell’intervista. Scomparso dodici anni fa, Enzo Biagi è stato uno dei volti più noti del giornalismo italiano ed ha lasciato dietro di sé un’importante lezione.

Lo stile di Biagi era inconfondibile, si rivolgeva agli intervistati in maniera pacata e rispettosa, senza erigersi a paladino di qualche verità, le domande erano chiare e asciutte ma incalzanti, senza concedere tregue fino a quando non aveva ottenuto la risposta. Conosceva il mezzo e sapeva come condurre un’intervista senza farla diventare un un inutile esercizio di polemica sterile o pura esibizione televisiva. Il suo era un servizio pubblico e non un libero commento.

Alcune sue interviste vengono usate nelle scuole di giornalismo, un esempio è quella al serial killer di prostitute Gianfranco Stevanin, un’intervista difficile durante la quale il giornalista fece attenzione a cogliere tutte le sfumature delle risposte del suo intervistato. L’assassino iniziò negando gli omicidi per i quali era stato condannato all’ergastolo, ma finì chiedendo scusa ai familiari delle vittime. Biagi era un professionista ed arrivò dove molti non hanno potuto, letteralmente, infatti le telecamere del Fatto furono le prime ad entrare nel Ground Zero dopo l’attentato dell’11 settembre 2001, quelle immagini fecero il giro del mondo. Le autorità aveva vietato al pubblico di avvicinarsi al cratere che si era aperto nel cuore di Manhattan. Il 13 dicembre, Biagi e la sua troupe entrarono in quell’inferno guidati dal comandante dei pompieri, l’italo-americano Daniel Nitro. Il reportage iniziò con un’inquadratura su di lui e alle sue spalle un muro con tante piccole foto che raccontavano la storia delle vittime.

enzo biagi

Si può considerare uno dei pilastri del giornalismo italiano, il suo lavoro è stato la sua vita, scrivere era come respirare e ha lasciato un modello indiscusso di professionalità e passione a cui ispirarsi. La televisione, Biagi lo sapeva bene, era (ed è) uno strumento molto potente che può fare del bene ma anche del male, ha come tutte le cose un rovescio della medaglia. Le ultime riflessioni del giornalista sull’argomento riportate nel libro Quello che non si doveva dire, non lasciano dubbi sulla sua opinione al riguardo: la televisione non si sa dosare e punta sempre all’eccesso, dominata da un’insaziabile fame di audience, tutto è pensato in base agli ascolti perdendo la bussola della moralità, del rispetto e della qualità.

Un pensiero sentito soprattutto se si pensa al futuro dei giovani che ormai la usano come punto di riferimento e spesso come modello a cui rifarsi. Biagi era consapevole che la tv crea opportunità di lavoro e di carriera, ma sapeva però che poteva anche essere un miraggio, uno specchietto per le allodole, creando false aspettative.

[…]

Il confronto con la tv del passato è automatico, ma il punto non è quale tv fosse la migliore, non è questo che interessa a Biagi, ma il fatto che una volta si affacciavano al video personaggi che, più o chi meno, avevano tra le mani un mestiere: «Il cantante era intonato, la ballerina aveva fatto ore e ore alla sbarra, l’attrice aveva studiato dizione». Tutto questo significava proporre modelli di professionalità, e il giovane che sognava di diventare un artista sapeva che dietro a quel lavoro c’era studio, impegno e fatica e che la televisione era il punto di arrivo di una carriere, non la partenza. Oggi tutto è ribaltato, le priorità sono altre e si cercano in continuazione scorciatoie per arrivare in alto. Il video non è più il punto di arrivo ma una vetrina, un trampolino di lancio verso una carriera nello showbiz, molte volte immeritata. Biagi si rivolgeva ai giovani e si preoccupava per il loro futuro quando diceva che la televisioni crea illusioni e che i ragazzi vengono allettati da reality o finte accademie d’arte, nelle quali non viene messo in discussione il loro talento, ma più che altro la loro capacità di accattivarsi la simpatia del pubblico votante. E una volta usciti dalla bolla d’orata di quella finta realtà non si ritrovano niente in mano se non qualche serata in discoteca.

Per capire pienamente il pensiero di Biagi ho voluto riportare parte dell’intervista che Loris Mazzetti gli fece per l’associazione Articolo 21, liberi di…. Questa volta è lui l’intervistato e chi meglio di lui, dopo quarantuno anni di collaborazione con la Radiotelevisiva italiana, può parlare di qualità televisiva?

Mazzetti: «Secondo te qual è o come dovrebbe essere una televisione di qualità?»

Biagi: «Dovrebbe essere lo specchio del paese nel bene e del male, non uno strumento di propaganda per una causa per un’altra. Delle storie di uomini, senza demagogia. Con rispetto delle persone e con la sensazione che si rivolge milioni di individui.»

Mazzetti: «È vero che la tv deve avere una funzione educativa?»

Biagi: «No, la tv deve essere una buona compagnia per la gente. All’educazione dei ragazzi provvedono la scuola e i genitori. Poi la società di per sé deve essere una società pulita, una società in cui la legge dev’essere al di sopra di tutto. […]»

Mazzetti: «Cosa non si dovrebbe vedere in televisione secondo te, o meglio cosa non si dovrebbe trasmettere? »

Biagi: «Oggi è molto difficile non trasmettere qualcosa che nelle coscienze più labili abbia un’influenza negativa. Non comincerei con le censure, certamente stabilirei degli orari, cioè dopo le undici di sera, nelle famiglie normali i ragazzi vanno a letto. C’è un problema di orari. E poi l’italiano è intelligente discerne una cosa dall’altra. Non comincerei con l’autocensura perché poi si finisce sempre peggio.» […]

Mazzetti: «Torniamo un po’ indietro nel tempo, come mai hai iniziato a far la televisione? Nella tua carriera di giornalista, quali sono stati i tuoi punti di riferimento?»

Biagi: «Beh certamente Montanelli, Vergani, Buzzati.»

Mazzetti: «Umberto Eco ha detto: “noi viviamo in una dittatura mediatica”. Ma è possibile che le televisioni hanno così tanta importanza e riescono a costruire anche quello che non c’è?»

Biagi: «Beh insomma è un grande mezzo di comunicazione, che dimostra che un signore che non era per niente votato alla politica, disponendo di televisioni, è diventato il nostro Presidente del Consiglio. Quindi l’importanza è dimostrata dai fatti. È uno strumento che non ha bisogno di aggiunte. La lettura è già una fatica, bisogna comprare i giornali, qui accendi la televisione, che ce l’hanno tutti, e i messaggi che devono arrivare arrivano.»

Mazzetti: «Il cittadino come può difendersi da tutto questo? »

Biagi: «Non guardando certa roba o guardandola con lo spirito libero e critico pensando che siamo l’unico paese al mondo che ha questo tipo di fenomeni. La spiegazione è anche difficile da dare perché qui non c’è mica stato un colpo di stato. Tanto per essere preciso, il Presidente del Consiglio è democraticamente alla guida di questo paese, quindi rispecchia la volontà degli italiani.»

Mazzetti: «Un giovane che vuole intraprendere il mestiere del giornalista, qual è il consiglio che gli puoi dare?»

Biagi: «Diceva un mio illustre collega “sempre meglio che lavorare”, forse esagerava un po’. Ma se crede che questo sia proprio il suo lavoro, una volta si diceva la sua vocazione, è un mestiere che ti tiene a contatto con la vita e che ti fa partecipare agli avvenimenti e alle storie, e che ti rende testimone di tutti i fatti che segnano la tua epoca.»

Mazzetti: «Quando sei arrivato alla televisione tu eri già stato direttore ecc. La tv oltre al popolarità cosa ti ha dato?»

Bagli: «Le conoscenze di uomini, ai quali sono rimasto legato, le amicizie, l’esperienza di un altro linguaggio. L’idea che si possono fare e si potrebbero fare ancora tante cose, coinvolgendo di più la gente. E la convinzione che dovrebbe essere lo specchio del paese non alterato da interventi censori, ideologici, raccontare la vita degli italiani nel bene e nel male.»

Articolo tratto dalla Tesi di Laurea Magistrale La televisione secondo Enzo Biagi






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