Dopo la notte del Pilastro, è finalmente arrivata la fatidica notte dell’Emilia-Romagna.
Oltre e al di là delle dovute e rituali analisi del voto, il risvolto umano che ha segnato l’attesa leghista della sconfitta conferma, ancora una volta, quanto fragile e scivolosa sia la parabola ascendente dei leader solitari, abbigliati da capitani coraggiosi. Qualcuno, alla manifestazione di due sere prima a Via Casini aveva esposto un cartello con la scritta: “Al Papeete hai perso il governo. Al Pilastro ha perso le elezioni. Grazie Salvini!”.
E probabilmente è stato davvero così. Perché quella dimostrazione pubblica, mediaticamente ed artatamente costruita, di arroganza baldanzosa ed arrembante ha spinto persino gli elettori del centrodestra a preferire le solide certezze offerte da Stefano Bonaccini al salto nel vuoto rappresentato da Lucia Borgonzoni. Vittima sacrificale dell’ennesimo – e più aggressivo – tentativo di Matteo Salvini di dare l’assalto al governo di Roma. Ma andiamo con ordine.
La sede scelta dalla Lega come suo quartier generale si trova sulla strada per Ferrara: il Centro Congresso dello ZanHotel di via Saliceto, a Bentivoglio. Quindici minuti di auto da Porta Santo Stefano, nel buio della campagna bolognese, attraverso fitti banchi di nebbia. La scelta è strategica: lontano dal centro di Bologna si riduce il rischio di contestazioni. La struttura è imponente e suona come l’ennesima dimostrazione muscolare di un partito che digrigna i denti in difesa degli interessi nazionali. Sui marmi dei saloni scivolano nugoli di giornalisti che aspettano che qualcosa si muova. Quel che salta all’occhio è la penuria di uomini e donne di partito in giro per le sale, a parte qualche sparuto badge rosso che segnala i membri dell’organizzazione. Salvini è asserragliato al terzo piano dell’hotel.
Pochi minuti prima della mezzanotte la sala stampa entra in fermento. Mentre comincia a palesarsi il distacco che segnerà la riconferma di Bonaccini, si rincorrono le voci che Salvini stia per concedersi ai microfoni. Dopo quindici minuti è pronto a snocciolare il suo dimesso discorso. Non commenta i dati: è troppo presto. Sebbene si intesti l’affermazione di Jole Santelli in Calabria, salvo poi risultare Forza Italia il primo partito della colazione vincitrice.
Matteo Salvini vuole solo ringraziare e dare la buona notte alle migliaia di italiani che lo hanno sostenuto, assumendosi la responsabilità di votare e di scegliere, rendendo l’Emilia-Romagna contendibile e consentendogli di essere protagonista di un momento di grande cambiamento. È l’Italia che lavora quella che vota per Salvini – sebbene in corsa sia una donna e non lui – e quell’Italia merita di essere accarezzata dal suo capitano prima di andare a letto. La seduta si aggiorna: il leader leghista tornerà in sala non appena i risultati saranno chiari. Scompare rapidamente, arroccato in un impenetrabile silenzio.
Poco prima delle due, si palesa la certezza della sconfitta. Se avesse voluto tener fede alle parole pronunciate in diretta televisiva, Salvini avrebbe dovuto abbandonare il fortino per venire a riconoscere, pubblicamente, la vittoria del rivale. E invece no. A prendere il suo posto è la vera candidata alla presidenza. Dopo essere stata eclissata per settimane dalla presenza ingombrante di Salvini, attirandosi derisione e facili ironie, è Lucia Borgonzoni a dover affrontare flash e microfoni. Ad essere gettata in pasto alla stampa. Il suo intervento dura pochi minuti: il tempo di lanciare l’ultima stoccata a Bonaccini, rivendicare gli sforzi compiuti e rinviare ogni commento alla conferenza stampa del mattino. È finita: nel giro di un’ora il comitato sarà smantellato e le sale del centro congressi chiuse.
Salvini ha abbandonato il campo, dopo essersi sovraesposto per settimane e mesi, determinando la sua stessa sconfitta. La vittoria di Bonaccini in Emilia-Romagna non vuol dire che il centrosinistra sia rinato: la maggioranza delle Regioni italiane è in mano al centrodestra e nella stessa Emilia molti comuni hanno virato nella stessa direzione. Perché pare il buon governo abbia sempre meno spesso il bollino rosso.
Quello che resta di questa apocalittica bolla mediatica è la riprova di quanto pericolose possano rivelarsi strategie di personalizzazione del conflitto politico, condotto ad un livello di tensione insostenibile per i mezzi realmente disponibili. In tanti, anche nel centrodestra, erano infatti consapevoli che scomparso Salvini, Lucia Borgonzoni si sarebbe ripresa la scena. Com’è accaduto, col consueto scarso carisma, nella cocente notte dello ZanHotel. Al momento della disfatta, la faccia esposta è stata la sua. E ciò malgrado l’abbraccio metaforico che il capitano le aveva poco prima rivolto per gli attacchi sessisti subiti in campagna elettorale.
Tutto normale nel Paese in cui Sanremo scade nel machismo misogino. Peccato che, per restare in tema sanremese, la prima ad essersi prestata al gioco della donna discreta che resta un passo indietro all’uomo forte al comando sia stata proprio la “sua” Lucia Borgonzoni.