venerdì 22 Novembre 2024
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La piccola editoria ai tempi del Coronavirus

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Quale amico migliore del libro e della lettura del Coronavirus, che obbliga a restare in casa e a trovare il modo per impiegare il proprio tempo quando si è finito di saccheggiare la dispensa, seguire il corso di zumba on-line e fare scorpacciate di serie televisive su Netflix?

Eppure le cose non stanno così. L’emergenza ha messo in discussione le modalità organizzative, produttive e logistiche di tutto il mondo, e il settore dell’editoria ne sta uscendo con le ossa a pezzi. In Italia, in cui il mercato del libro era già in grave crisi, si prevede che molte librerie non riapriranno più i battenti, e così la gran parte delle piccole case editrici. Tutti gli editori hanno praticamente interrotto la produzione per due mesi: la riprenderanno (forse) nel mese di maggio, immettendo nuovi titoli sul mercato solo a partire dal mese di luglio. Se distributori e librai non assorbono le novità, è ovviamente inutile produrle.

Le catene di distribuzione, prima tra tutte Messaggerie Libri che in Italia opera in regime di semi-monopolio, e le società di promozione a questa collegate hanno attivato le casse integrazione per più dell’ottanta per cento dei loro dipendenti. Tuttavia gran parte del lavoro della filiera del libro è svolto da liberi professionisti o lavoratori a contratto, in genere sottopagati e ora disoccupati a tempo indeterminato.

I magazzini sono fermi, le librerie non hanno soldi per pagare i libri che giacciono invenduti né hanno modo di renderli in cambio di nuovi titoli più appetibili, mentre le tipografie vedono accumularsi le fatture insolute. L’osservatorio dell’AIE (Associazione Italiana Editori) prevede che nel 2020 verranno pubblicati circa 23.000 titoli in meno rispetto al 2019.

Gli editori indipendenti, che rappresentano il 46,5% del mercato, hanno visto un crollo del fatturato alla fine di marzo (cioè dopo un solo mese di lockdown) stimato al 68%: per il mese di aprile e maggio si prevede un’ulteriore discesa verticale. Tutti gli editori stanno rimettendo le mani sul piano editoriale, sacrificando i titoli meno commerciali.

Intanto aumenta, com’è ovvio, la vendita degli e-book e comincia a conquistarsi la sua fetta di mercato un prodotto che prima era relegato in una piccola nicchia: l’audiolibro, che ora ha circa 4 milioni di utenti. Il settore dei podcast era del resto già in forte sviluppo, dopo l’ingresso nel mercato italiano di multinazionali come Audible, marchio di Amazon, e Storytel.

Alcune case editrici hanno adottato la strategia del digital-first, facendo uscire i titoli in digitale in anticipo rispetto alla versione cartacea.

Con il lockdown, ovviamente, le grandi piattaforme online hanno aumentato il loro vantaggio competitivo rimanendo sempre attive; e questo anche se per alcune settimane avevano annunciato di “voler privilegiare i prodotti essenziali”, ritenendo evidentemente ben più remunerativo spedire tonnellate di smartphones piuttosto che un po’ di copie de La peste di Camus.

Cosa accadrà? Lo scenario è imprevedibile, ma certamente il panorama editoriale ne risulterà fortemente impoverito, e ancora una volta a essere falcidiate saranno le piccole realtà in gravissima crisi di liquidità.

Una proposta possibile per offrire un po’ di ossigeno al settore? L’assegnazione immediata di fondi alle biblioteche per l’acquisto di libri, con l’obbligo di spenderli scegliendoli dai cataloghi di editori indipendenti non a pagamento e con un fatturato annuo inferiore ai 500.000 euro. Un gesto simbolico, e non solo, per garantire la sopravvivenza di quel pluralismo delle idee e della cultura che sostiene la nostra periclitante democrazia.






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