La vomerese, di cui parliamo, nasce alla fine degli anni Sessanta, cresciuta nel Vomero Nuovo (Pietro Castellino, Domenico Fontana, ecc.) figlia di middle-little-class (impiegati-piccolo commercianti) trapiantata e nata in un contesto urbano senza storia e senza vissuto, è cresciuta tutta nei calori dell’Italia post-boom-economico, fino ad approdare alla linea Nuovi Ricchi.
Proiettata direttamente nella modernità, ma senza una storia antropologica e sociologica, si rapporta con indifferenza alle problematiche odierne, sia sociali che femminili. Il suo trend portante è il consumo e la rappresentazione di sé e per la realizzazione dei suoi obiettivi è capace di passare su tutto r tutti.
Ma il questo percorso è in totale buona fede, poiché serenamente crede che l’appagamento dei propri piaceri sia l’unico scopo della vita.
È spiritosa e pastosa, piacevole e carnale, insomma dotata di una femminilità più vicina a Yvonne Sanson di Catene che alla Lollobrigida di Pane, amore e fantasia. Dopo la licenza o il diploma artistico e linguistico va a lavorare, ponendosi il tema “cosa fare da grande”, e il suo obiettivo è il matrimonio (possibilmente con un intellettuale benestante, riscattando così la sua assenza di antropologia e sociologia). Cambia giro di amici e produce continui incontri fin quando non trova il decadente intellettuale danaroso da sposare. E l’intellettuale decadente viene quasi sempre avvolto da questo fascino “istinto e voglia di”. La funzione sociale della vomerese nell’incontro con l’intellettuale decadente è di portare linfa e sangue fresco in una categoria maschile già vicina al clima di Morte a Venezia.
Appena sposata la sua casa diventa un centro d’incontro della vecchia intellighenzia; dal marito pretende viaggi, la frequentazione dei migliori salotti, bei vestiti; mentre lui pretende da lei solo il suo sangue fresco! Dopo un paio d’anni l’intellettuale si stanca di tale vita e comincia rinchiudersi nella sua biblioteca.
Un’altra categoria di donna andrebbe via di casa, ma per fortuna la vomerese no. Il suo scopo con il matrimonio è stato raggiunto: benessere-intellettualità-rappresentazione è con queste tre idee precise la vomerese va avanti senza separarsi, lasciando il marito ai suoi libri e organizzandosi con il mondo che la circonda. È da apprezzare in lei questo sano pragmatismo, con il quale attraversa tutti i sentieri del nuovo senza alterare minimamente i suoi valori, come se fosse un dolce e vecchio Carrarmato Perugina che va avanti per la sua strada.
La vomerese di via Palizzi, di San Martino e di via Luca Giordano, quella del Vomero Antico, oggi trentenne e quarantenne, esprime caratteristiche altre proprio perché vissuta in una zona ricca di cultura e di arte. La Villa Floridiana è stata il suo luogo dell’infanzia. La pittura paesaggistica è stata la sua fonte di ispirazione, Leopardi e DI Giacomo sono stati i primi poeti che i genitori le hanno letto; l’antica canzone napoletana e la musica classica riempivano tutti i momenti della sua giornata: è stata avvolta da una poetica teneramente infantile che ha fatto di lei una novella poetessa.
Male ha fatto a sposare l’intellettuale tardo-sinistrese, meglio sarebbe stato un marito commercialista che maggiormente avrebbe apprezzato le sue intime doti artistiche-letterarie. I suoi studi sono stati letteratura con indirizzo storia dell’arte, filosofia ea anche matematica e biologia.
Alla quarantenne del Vomero antico il prof. Salvatore Pica consiglia oggi (e il consiglio vale per le single e le divorziate) di riprendersi la bambina che dimora in lei, di riprendersi tutta l’estetica letteraria e musicale per riproporsi come donna poetica in un momento di strano pragmatismo femminile; infatti molte single e separate quarantenni quasi non credono più all’idea dell’amore, all’idea della coppia progetto, all’idea della capacità di produrre felicità, per questo la nostra vomerese antica deve prendere coscienza che oggi quell’idea della vita e del mondo su cui si è formata quasi non esiste più, e quindi spetta solo a lei riproporre, in forma nuova, quei valori nei quali è cresciuta. Diventare quasi tutte delle “Candide” alla Voltaire, coscienti del male che ci circonda e comunque protese alla continua produzione del bene, Più che mai l’aforisma “abbiamo due vite: la seconda inizia quando ci rendiamo conto di averne una sola”, è azzeccato per le nostre amiche vomeresi quarantenni che non rinunciando ai valori e a quanto esplorato nel primo percorso, optano positivamente per la seconda forma di vita che già da qualche tempo stanno sperimentando.
Come ci riescono? Continuano ad amare anche se restano deluse. Perseverano con l’ottimismo anche se circondate dal pessimismo. Intessono continuamente relazioni con amici nuovi. Frequentano aree sociali problematiche ma colte e sensibili. Restano fedeli all’idea di Napoli così come quando erano bambine e la guardavano da via Palizzi. Napoli città dell’infanzia, città della categoria dello spirito, città della tolleranza, città madre.
Ci piace ricordare che il primo flirt – fidanzamento del nostro prof Salvatore Pica fu proprio con una vomerese, nel lontano 1953. Era di via Palizzi, figlia di pittori e con lei si avvicinò all’arte e alla musica. Lui, che proveniva da un quartiere popolare, dove la praticità come sopravvivenza dominava su tutto, imparò dalla dolce vomerese i valori della categoria dello spirito senza i quali, certamente, sarebbe rimasto un semplice popolano e non un colto autodidatta.
Ecco, il suo debito antico verso la donna del Vomero è pagato, e oggi il professore, dopo questo scritto, prederà la funicolare a piazza Amadeo e scenderà a piedi per via Palizzi ricordando quel lontano 1953.