La pandemia da Covid-19 dovrebbe aver insegnato a tutti quali sono le priorità, quali sono i comparti essenziali alla vita di una nazione e della società: salute, cibo, sicurezza, acqua, servizi energetici e di telecomunicazione.
Gli applausi ai medici, agli infermieri, ai farmacisti e agli operatori sanitari che hanno gestito sul campo l’emergenza coronavirus sono doverosi. A tutti loro dobbiamo rispetto e gratitudine.
Altrettanti applausi dovremmo a chi ha garantito, in queste settimane, tutti gli altri servizi essenziali, ma non ho mai sentito apprezzamenti e cori per agricoltori, addetti dell’industria alimentare e della GDO, carabinieri e poliziotti, nonché per il personale degli acquedotti, della distribuzione energetica e della telecomunicazione.
La nostra riconoscenza viene incanalata tutta verso il settore dove le carenze, per inefficienze, storture e tagli, si manifestano in maniera drammatica, esaltando il senso del dovere, a volte l’eroismo, dei singoli, non verso quei comparti che pur tra mille difficoltà e rischi, garantiscono una tranquilla quotidianità.
Ecco perchè, a emergenza finita, l’agricoltura e l’agroalimentare italiani verranno dimenticati.
Se ne vedono già i segnali.
Gli appelli a comprare cibo Made in Italy vengono lanciati solo da agricoltori, associazioni agricole o dal Ministro Bellanova. Non vedo mobilitazioni di consumatori, tanto meno un orgoglio patriottico in tema agroalimentare. Sugli scaffali dei supermercati non vedo andare a ruba il prodotto italiano. Si fa la spesa come sempre.
Leggo gli appelli di alcune filiere agricole in difficoltà, pressochè inascoltate e soprattutto ignorate da tutti i media.
Il cibo c’è, quindi perchè allarmarsi sullo stato di salute del food italiano?
Ogni tanto mi viene da pensare che se gli scaffali fossero vuoti, si comincerebbe a guardare al comparto agricolo e agroalimentare in maniera diversa e magari anche la nostra classe dirigente comincerebbe a ragionare sulla centralità del settore.
Lo stanno già facendo in molte altre nazioni. La Russia, l’Ucraina e la Cina, ma anche altri paesi, hanno cominciato a contingentare, se non bloccare del tutto, l’export di alcune derrate agricole. Lo stesso Presidente francese Macron, che deve fare i conti con qualche vuoto di troppo sugli scaffali francesi, si è interrogato pubblicamente sull’opportunità di lasciare in mano a terzi le forniture sanitarie e alimentari.
Non si parla di autarchia ma di una gestione più oculata, meno globalista e mercantilistica di risorse strategiche, che si tradurrà in misure politiche per il sostegno a tali comparti, in primis quello agricolo e agroalimentare. Detto in altre parole, gli Stati si porranno il problema di come mantenere in attività le fabbriche che producono mascherine al pari delle aziende che producono cibo.
L’Italia ha il vantaggio di poter già contare su un sistema agricolo e agroalimentare strutturato, che ha dimostrato di saper reggere bene alla crisi del Covid-19, e per questo temo che la politica se ne dimenticherà presto. Si concentrerà su cosa non ha funzionato, dimenticandosi di quanto ha funzionato e che andrebbe sostenuto, in un contesto che diventerà ancor più competitivo.
Occorre iniziare ora a pensare come irrobustire il nostro sistema agricolo e agroalimentare per renderlo ancor più pronto ad affrontare nuove situazioni emergenziali, per non arrivare, di fronte a un Covid qualsiasi, a trovarci gli scaffali dei supermercati vuoti.
Allora non basterà distribuire buoni pasto e il prezzo da pagare diverrebbe alto, forse troppo alto.
Spero di venir smentito ma l’Italia lo capirà tardi.