I fratelli Sisters, l’evoluzione del genere western
Western significa Occidentale, ma il genere cinematografico dello stesso nome è stato sempre focalizzato dagli Statunitensi su storie del loro Far West.
Con Sergio Leone, italiano, e ora con Jacques Audiard, francese (I fratelli Sisters, attualmente nelle sale), però, anche se le storie hanno continuato a essere ambientate da quei registi nel nuovo Continente (quasi sempre al momento della corsa all’oro), la dimensione, per così dire concettuale di quei film si è notevolmente ampliata: è divenuta una struttura cinematografica, per i suoi contenuti, “universale”.
In verità, l’evoluzione del genere western era già cominciata nell’ America di Hollywood, soprattutto dopo il crollo progressivo e inarrestabile delle Majors (prevalentemente in mani ebraiche).
Dalla morale religiosa espressa da John Ford (soprattutto in Ombre Rosse) e dalla visione manichea del Bene e del Male di altre pellicole (Un dollaro d’onore di Howard Hawks, Mezzogiorno di fuoco, di Fred Zinnermann e altre) si era passati a Sam Peckinpah che in Mucchio selvaggio ci aveva mostrato un’umanità in cui era difficile distinguere i buoni dai cattivi, il Bene dal Male.
Sergio Leone innestava, con grande maestria ed eccellente professionalità, la sua visione del mondo.
Il western all’italiana non era più nè ottimista nè, a maggior ragione, moralista. Il denaro restava l’unico vero interesse dei personaggi delle storie, ma il giudizio “etico”restava fuori dalla porta.
Con il film del regista francese, il western fa un ulteriore passo avanti: diventa “occidentale” nel senso pieno della parola.
Anche i protagonisti del film di Jacques Audiard, due fratelli di cognome Sisters, anelano a diventare ricchi sfondati: hanno la pistola facile e uccidono, senza porsi problemi di alcun tipo, con la stessa facilità con cui si mandano giù i birilli in un biliardo. Il Dio-Denaro esige il sacrificio di ogni virtù e il superamento di ogni dubbio.
Dell’umanità, il regista e sceneggiatore francese disegna un quadro tragico che non consente di nutrire molte speranze per un cambiamento futuro.
Sul piano personale, i due “pistoleri” provengono da una famiglia orrenda, dominata dalla violenza dove il minore dei fratelli ammazza il padre despota e aggressivo (provocando, nell’altro, l’unico commento: -Avrei dovuto farlo io che ero il maggiore!); sono al servizio, come killer prezzolati, di un “Commodoro” cinico e perverso, che apprezza la loro freddezza e precisione nel “liquidare” gente dalla mano altrettanto svelta nell’uso della pistola.
I due Sisters sono scarsamente affettivi. In Audiard la fraternità virile esaltata da Howard Hawks (in Un dollaro d’onore) si restringe al puro amore fraterno, per così dire naturale o “di sangue”; solo tale vincolo, impropriamente detto “familiare”, li lega in modo intenso e profondo. E il legame oltre che tra di loro funziona egregiamente anche con la madre (come avveniva nelle società matriarcali).
Il regista francese, con questa annotazione, dimostra di avere una solida conoscenza dei libri scritti sulle società matrilineari antecedenti a quella patriarcale. E di non condividere la visione maschilista che consente all’uomo di diventare padre-padrone e tiranno dell’intera famiglia (che lui ha voluto inventarsi contro natura per creare artificiosamente e affermare il suo dominio assoluto e farne la destinataria dei frutti della sua avidità proprietaria).
Questa ulteriore cifra di riconoscimento del film contraddistingue il cinema di Audiard rispetto a quello dello stesso Leone, che resta, comunque, il Maestro dell’ambientazione lercia, polverosa, sgangherata del film western di nuova maniera.
Il quadro, non solo ambientale, descritto nel film è tragico. L’umanità in cui i due fratelli s’imbattono è della loro stessa stoffa: sono i cercatori d’oro e saranno i venerati fondatori della futura società capitalistica nord-americana.
Non si creda, però, che in Audiard alberghi il benché minimo sentimento gauchiste di tanti suoi connazionali.
In quel mucchio di disperati e di assassini incalliti ve ne sono di quelli che, pure avendo gli stessi delitti sulle spalle, farneticano di utopie, di un Paese ideale, dove tutta la gente possa essere uguale e felice, senza rinunciare, pare di capire, di compiere per realizzare ciò altri omicidi e raccogliere l’equivalente di un bel po’ di pepite.
E Audiard non fa sconti a questi esseri umani che popolano il Pianeta, dichiarando a destra e a manca di volerlo migliorare e pensando, in realtà, di arricchirsi proprio a danno di quei gonzi che cercano di illudere con le loro false promesse.
Per lui, tali individui, sia che mostrino sinceramente il loro volto di assassini sia che lo nascondano ipocritamente sotto falsi buoni sentimenti di amore e fratellanza umana (predicata soprattutto da mestatori politici e dai sacerdoti del Dio dei monoteismi) sono soltanto “lupi hobbesiani”, pronti a uccidere i propri simili come le bestie feroci si sbranano tra di loro.
Naturalmente, il film di Audiard non è un’opera didascalica e non rende una tale lettura intellegibile anche da parte di un pubblico superficiale e volutamente o sinceramente distratto.
Sotto tale profilo, quindi, essendo la madre degli imbecilli la procreatrice più prolifica che vi sia sulla Terra, la pellicola è destinata a piacere e raggiungere primati nel box office per le sue scene di violenza e di sesso, certamente più crude e spinte di quelle riscontrabili nelle versioni (sia statunitense sia italiana), del cinema western.
Per chi non ama porsi il prosciutto sugli occhi, il bel fim di Audiard mostra un’amara verità e fa giustizia sommaria dell’ipocrisia che tutte le dottrine ecumeniche e universalistiche, religiose e pseudo-filosofiche, profondono a piene mani circa pretesi ideali di fratellanza umana e promesse di luoghi di Bengodi futuri, in questa o in altra vita.
Un Karl Marx e un Dante Alighieri redivivi, dopo aver visto il film del regista francese, non scriverebbero le loro colossali opere.
Il primo rinuncerebbe alla sua fatica, degna di Sisifo. Il secondo si limiterebbe a comporre solo le cantiche dell’Inferno. Se, infatti, l’umanità è quella descritta da Audiard è del tutto inutile immaginare che essa, sopravvivendo alla morte (ipotesi per molti del tutto improbabile) possa essere ricevuta in sale di attesa o, direttamente, in stanze panoramiche con vedute rasserenanti sul Regno dei Cieli.
Domanda: Non c’è scampo per l’Occidente? Risposta: Non è detto. Film come quelli di Audiard, aggiunti a quelli prodotti da autori anglosassoni non legati a ecumenismi, idealismi, romanticismi, falsi illuminismi ghigliottinari o a utopie di alcun tipo, possono fare il miracolo per le generazioni future….molto future.