Sulla Brexit Theresa May tenta l’ultima carta, mettendo a disposizione le sue dimissioni in cambio dell’appoggio del Parlamento al suo accordo sulla Brexit, che lei stessa aveva negoziato con l’Ue ma che i deputati hanno già bocciato due volte. «Ho ascoltato molto chiaramente l’umore del gruppo parlamentare — ha detto la May in una sala stipata all’inverosimile, mentre fuori i giornalisti si accalcavano nel corridoio —. So che c’è il desiderio di un nuovo approccio, e una nuova leadership, nella seconda fase dei negoziati sulla Brexit: e io non mi metterò di traverso. Ma prima dobbiamo far passare l’accordo e portare a compimento la Brexit. Sono pronta a lasciare il mio posto prima di quanto intendessi, in modo da fare ciò che è giusto per il nostro Paese e il nostro partito. Chiedo a tutti in questa stanza di appoggiare l’accordo, così che possiamo compiere il nostro dovere storico: dar corso alla decisione del popolo britannico e lasciare l’Unione Europea in maniera ordinata».
Il governo potrebbe mettere ai voti l’accordo già stasera, anche se prima dovrà superare le obiezioni procedurali dello speaker dei Comuni, John Bercow, che ha trovato da ridire sul fatto che lo stesso testo venga riproposto uguale per ben tre volte. verosimilmente la May si dimetterà tra la fine di giugno e l’inizio di luglio: per cui al principio dell’estate avremmo un nuovo primo ministro britannico in carica. Chi sarà? Il favorito resta Boris Johnson, anche se molti ostacoli gli si frappongono. Ma se l’accordo voluto dalla May alla fine non passasse, tutti gli scenari sono aperti.
«Quella di Theresa May è stata la presa d’atto dell’inevitabile. La sua autorità era ormai ridotta quasi a zero: una buona fetta del partito le aveva votato contro due volte, gli stessi ministri le si ribellavano apertamente e il governo era soggetto a uno stillicidio di dimissioni. In tempi normali, in simili circostanze, un primo ministro si sarebbe già da tempo fatto da parte: ma lei andava avanti caparbia, convinta di dover portare a termine un compito assegnatole, cioè assicurare una Brexit che non fosse un disastro per la Gran Bretagna. Alla fine si è resa conto che l’ostacolo era diventata lei stessa. Da giorni si rincorrevano voci di complotti per destituirla, mentre le prospettive di far approvare il suo accordo in Parlamento restavano assai ridotte. E in mancanza di un’intesa, il rischio era quello del no deal il 12 aprile, ossia una Brexit catastrofica, oppure un rinvio a data da destinarsi, col rischio di veder sfuggire di mano l’uscita dalla Ue» [Ippolito, CdS].
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