venerdì 22 Novembre 2024
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Metà dei ristoranti etnici in Italia presentano irregolarità

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Tra le criticità riscontrate: alimenti in cattivo stato di conservazione, procedure preventive di autocontrollo aziendali inosservate o mai predisposte, utilizzo di alimenti prive di informazioni utili per la rintracciabilità.

“Cibi scaduti, scongelati e ricongelati, mancato rispetto delle norme igieniche, etichette incomprensibili, importazioni vietate. Ben vengano le cucine etniche, a tutti piace il sushi, ma “all you can eat” non può fare rima con rischio di intossicazione alimentare: le regole valgono per tutti. Non si mette a rischio la salute dei cittadini con pratiche illegali per mantenere i prezzi stracciati. Spesso manca la conoscenza del nostro sistema di regole che è tra i più avanzati a livello mondiale e su questo bisogna lavorare. Grazie ai nostri Carabinieri del Nas che fanno luce su un settore in grande espansione e di grande richiamo soprattutto per le generazioni più giovani. A tutela di tutti sia ben chiaro che etnico non deve far rima con fuorilegge” dichiara il ministro della Salute, Giulia Grillo.

Nell’ambito di una consolidata strategia dei controlli volti a garantire la sicurezza alimentare a tutela della salute del consumatore, principale compito istituzionale, di concerto con il Ministero della Salute, il Comando Carabinieri per la Tutela della Salute, nel mese di maggio, ha eseguito mirate verifiche in campo nazionale presso strutture appartenenti alla filiera della commercializzazione e somministrazione di prodotti alimentari etnici, ovvero di produzione e preparazione enogastronomiche essenzialmente riconducibili a culture di Paesi extra europei.

“Particolare attenzione è stata riservata agli esercizi di ristorazione veloce e a quelli che adottano la formula “all you can eat” per accertare che mantengano i livelli essenziali di corretta prassi igienica e la fornitura di materie prime idonee ad assicurare un livello accettabile di sicurezza per il consumatore – chiarisce il generale di divisione Adelmo Lusi.

Nel solo mese di maggio 2019, periodo nel quale è stato rafforzato il dispositivo di controllo allo specifico settore, i NAS hanno effettuato 515 ispezioni che hanno determinato l’accertamento di irregolarità in 242 strutture (pari al 47% circa degli obiettivi controllati). L’incidenza delle non conformità è sicuramente maggiore nel settore della ristorazione, dove il 48% dei locali controllati ha presentato delle irregolarità, mentre tale valore si riduce al 41% nei controlli a grossisti e depositi di alimenti etnici.

“Il piano di controlli – specifica il generale Lusi – è stato realizzato con una metodologia finalizzata alla verifica del puntuale a rigoroso rispetto delle procedure di preparazione, conservazione e somministrazione degli alimenti, dello stato igienico e strutturale dei locali di ristorazione e degli esercizi di vendita al dettaglio di prodotti preconfezionati, del mantenimento della catena del freddo soprattutto in relazione ai cibi da mangiare crudi, estendendo la vigilanza anche ai canali di importazione e distribuzione delle derrate alimentari e delle materie prime provenienti da Paesi esteri, gestiti da aziende di commercio all’ingrosso, di deposito e di trasporto”.

Tra le criticità riscontrate, sono stati rilevati alimenti in cattivo stato di conservazione, procedure preventive di autocontrollo aziendali inosservate o addirittura mai predisposte, utilizzo di alimenti con etichettature non in lingua italiana o prive di informazioni utili per ricostruirne la rintracciabilità, in alcuni casi materie prime di origine animale provenienti da Stati asiatici importate in violazione ai divieti esistenti.

È stato altresì riscontrato che, sebbene i servizi di ristorazione impieghino prevalentemente derrate alimentari di origine nazionale o dell’UE, non sempre la loro qualità e igiene è assicurata lungo la filiera gestionale dei prodotti. Infatti, complessivamente, sono state sequestrate 128 tonnellate di prodotti ittici, carnei e vegetali riscontrate irregolari e non idonee al consumo perché prevalentemente privi di tracciabilità ed in cattivo stato di conservazione, per un valore commerciale di circa 232 mila euro.

Nel corso delle attività è stato constatato l’uso di magazzini abusivi di stoccaggio dei prodotti, cucine mantenute in pessime condizioni igienico-sanitarie, ambienti mancanti dei minimi requisiti sanitari, strutturali e di sicurezza per i lavoratori, che hanno comportato l’applicazione di provvedimenti di chiusura o sospensione dell’attività a carico di 22 imprese commerciali, il cui valore economico ammonta ad oltre 5 milioni e 300 mila euro.
Complessivamente sono state contestate 477 violazioni penali ed amministrative, deferendo all’Autorità Giudiziaria 23 operatori del settore alimentare, mentre ulteriori 281 sono stati sanzionati per infrazioni amministrative, per un ammontare di 411 mila euro. In ambito penale i reati maggiormente riscontrati, in totale 27, sono stati la frode in commercio e la cattiva conservazione degli alimenti. Molti infatti i casi accertati dai NAS in cui la somministrazione degli alimenti era, per qualità, diversa da quella dichiarata al consumatore a cui, spesso, veniva celato l’originario stato fisico “congelato” dei prodotti ittici serviti nei ristoranti e tavole calde.







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