Nessuna vittima e nessuna associazione al processo contro il clan Spada
Ieri a Ostia, nella prima udienza del maxi processo per mafia contro il clan Spada, nessuna delle quindici vittime e nessuna associazione si è costituita come parte civile. Il 25 gennaio scorso 32 componenti della famiglia sinti di Ostia, gli Spada, sono stati arrestati per associazione a delinquere di stampo mafioso. Dall’usura alle estorsioni, dagli omicidi alle intimidazioni e minacce, il potente clan aveva, secondo la procura di Roma, contaminato l’economia sana del quartiere sul mare della capitale, accaparrandosi, oltre a sale slot, ristoranti, bar, panetterie e stabilimenti balneari con la complicità della politica e della pubblica amministrazione. L’udienza di ieri è durata sei ore e i parenti degli imputati si sono detti certi che nessuna delle vittime verrà a testimoniare.
La Nato e l’Ue contro l’apertura alla Russia di Conte
Dopo che il neo premier Giuseppe Conte ha affermato, nel discorso per la fiducia, di voler togliere le sanzioni Ue contro Mosca, il segretario generale della Nato, il norvegese Jens Stoltenberg, ha esortato ieri l’Italia a non giocare d’azzardo con l’Europa mettendo la questione sul tavolo del Consiglio europeo il 28 e 29 giugno. «L’Italia è uno dei nostri più forti alleati, ma sulla Russia crediamo che le sanzioni vadano mantenute fino a quando Mosca non cambierà il suo comportamento altrimenti manderemmo un pessimo segnale al Cremlino» ha detto l’ambasciatrice americana alla Nato, Kay Bailey Hutchinson. Le sanzioni europee contro la Russia sono scattate dopo il conflitto in Ucraina e mirano alla piena attuazione degli accordi di Minsk del 2014. L’Europa ha tre set di sanzioni. Le più importanti colpiscono ampi settori dell’economia russa e scadono il 31 luglio. Sono rinnovate ogni sei mesi in modo non automatico ma a valle di una discussione tra leader Ue, e all’unanimità. Discussione che si terrà appunto al vertice europeo del 28 e 29 giugno.
Doping, chiesti otto anni di squalifica per Magnini
Filippo Magnini, forse il migliore italiano di sempre nei 100 metri stile libero, rischia otto anni di squalifica per doping. È questa la richiesta avanzata dalla Procura nazionale antidoping guidata da Pierfilippo Laviani, che contesta al nuotatore il consumo o tentato consumo di sostanze dopanti e la somministrazione o tentata somministrazione di sostanza vietata. Nonostante il ritiro annunciato nel dicembre 2017, Magnini è ancora un tesserato della Federazione italiana nuoto. L’indagine muove dall’inchiesta penale della Procura di Pesaro sul medico romagnolo Guido Porcellini, dietologo e mentore di Magnini. Per due anni, dal 2015 al 2017, i pm di Pesaro hanno passato al setaccio i contatti tra Magnini, Porcellini e il suo collaboratore Antonio De Grandis.
«Perché un campione del calibro di Magnini, da sempre simbolo della lotta al doping, si accompagna a gente che importa con una certa disinvoltura dalla Cina dosi di ormoni della crescita? Dalle indagini pesaresi – duemila pagine, ore e ore di colloqui, centinaia di messaggi – non è emerso un coinvolgimento penale dell’ex nuotatore nei traffici per cui Porcellini è stato rinviato a giudizio (commercio di prodotti dopanti, falso, ricettazione e somministrazione di medicinali deteriorati). Ma non sono poche le circostanze in cui il comportamento di Magnini, secondo le conclusioni della Procura, è assai discutibile. Il bonifico da 1.200 euro per De Grandis, il colloquio con Santucci sulla fornitura di “funghi”, la richiesta a Porcellini di inviargli “dati per il mio amico”, fino alla frase shock contestata nell’interrogatorio di aprile, in cui l’ex re dei 100, rivolgendosi a Santucci, parla dell’inutilità di andare al Mondiale senza assumere i prodotti indicati dal medico amico» [Catapano, Gazzetta].
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