Come nella maggior parte delle case e delle famiglie italiane anche noi Cingoli ci riuniamo la sera del 24 per una cena in famiglia, con l’obiettivo di stare – almeno per una sera – sereni, tranquilli, e di mettere da parte i pensieri “fastidiosi”, le ansie, le preoccupazioni… intendiamoci, non possono sparire del tutto, sono solo messe in parcheggio per qualche ora.
E abbiamo perfino la nostra canzone di Natale “personalizzata”!!!
La nostra è quella che i sociologi definirebbero una famiglia allargata: ci siamo ovviamente noi quattro (Federica e le nostre bimbe – ormai ragazze – Sara ed Emma), il papà e la sorella di Federica, mio fratello, mia zia Lidia (per noi una zia molto importante, alla quale siamo molto legati, ve ne parlerò presto); e da molti anni, ormai, sono con noi anche la mia ex-moglie Elisabetta, con il suo compagno Carmine e il mio figlioccio Andreas (con la ‘s’ perché è nato in America, e lì il nome senza ‘s’ è considerato femminile – anche di lui voglio parlarvi presto).
Avrete ormai capito, leggendomi, che io in cucina mi diverto molto, mi piace cucinare, inventare, sperimentare, ma talvolta anche rimanere sul classico. La cena della vigilia per me è una festa, ma anche una sfida; mi piace fare tanti antipasti, proporre sapori vari, dalle origini diverse (qualche volta piatti etnici), addirittura impiattando singolarmente in maniera scenografica (e quindi, ahimè, complessa…è ovvio, siamo in tanti!). A seguire c’è un primo, qualche fritto misto (a Roma è una tradizione), ultimamente saltiamo però il secondo e passiamo direttamente alla frutta e ai dolci.
Cene che iniziano con un aperitivo (generalmente una coppa di champagne) accompagnato da vari finger food (altra complicazione!); cene che, per il grande numero di portate, durano fino a qualche ora, diciamo che spesso finiamo, sazi e satolli, ben oltre la mezzanotte…
Federica è sempre molto scettica (e preoccupata) per i menù che partorisco, pensa che le portate siano troppe e troppo complicate, dice che si arriva ormai stremati alla fine, che così non si godono appieno tutte le portate. Motivo per il quale, da un paio di anni, mi ha pregato di ridurre il numero delle portate, e io mi sono disciplinatamente adeguato.
Dimenticavo di dire che anche la “fattura materiale” dei menù (cartacei, ma non solo) è il risultato di una lunga opera progettuale/creativa e di una altrettanto lunga attività manuale di realizzazione; dei menù degli ultimi anni, che magari potrebbero essere di ispirazione per qualcuno di voi, vi do qualche esempio qui di seguito…
Non ho ancora le idee chiarissime per quanto riguarda il menù di questo Natale 2021 (ci sto lavorando, in questi giorni), ma vorrei darvi qui un paio di suggerimenti – tratti dai menù passati – per degli antipasti un po’ particolari, forse non proprio tradizionali per l’Italia, ma molto sfiziosi.
CRAB CAKE
Quando si entra in un ristorante di pesce sulla costa orientale degli Stati Uniti, si viene probabilmente accolti dal dolce profumo delle CRAB CAKE, letteralmente “torte di granchio”, croccanti fuori ma soffici dentro e molto gustose. Questo piatto, tipico del Maryland, consiste tradizionalmente di polpa di granchio blu unita ad altri ingredienti come maionese, senape, pangrattato e condimenti vari.
Scopriamo innanzitutto come questo delizioso piatto è diventato uno dei preferiti dagli americani.
Le torte di granchio sono nate molti anni fa; alcuni sostengono che il piatto sia stato creato dalla tribù nativa Chesapeake, agli albori della nazione americana, e citano quella delle Crab Cake come una delle prime ricette dei nativi americani adottate dai colonizzatori europei.
Nel 1800 il piatto perse di popolarità perchè molti si resero conto che l’accesso alla polpa di granchio era troppo difficile o pericoloso.
Col tempo, però, più persone poterono avvicinarsi alla polpa di granchio, e così le Crab Cake divennero famose lungo le coste orientali e occidentali, e si fecero strada nei ristoranti di pesce. Tuttavia, la mancanza di trasporto refrigerato ha mantenuto il piatto confinato in quelle aree.
Nel 20° secolo, quando finalmente i treni refrigerati hanno iniziato a trasportare la polpa di granchio attraverso gli Stati Uniti, le torte di granchio hanno potuto godere di un pubblico molto più ampio.
Tuttavia, il piatto non ottenne ufficialmente il suo nome fino agli anni ’30, quando Crosby Gaige (autore anche di una interessante guida sui cocktail) lo elencò nel suo libro ” New York World’s Fair Cook Book“.
cook book
Da allora, le Crab Cake del Maryland sono diventate un piatto amato in tutto il paese e oggi conosciuto anche in molte altre parti del mondo.
Si possono fare di varie dimensioni, da piccole come frollini (p.es. per l’aperitivo o l’antipasto) fino alle dimensioni di un hamburger, e anche più, nel caso se ne voglia fare un piatto principale.
E’ un piatto che io consiglio vivamente, è gustoso, fresco (il lime, il coriandolo…), saporitissimo ! Ottimo per l’aperitivo o per l’antipasto della vigilia di Natale.
Ingredienti:
- 500 gr. di polpa di granchio ben sgocciolata. Usate solo quella di buona qualità, tipo Chatka, non prendete polpa di qualità inferiore di provenienza Sud Pacifico, sa di cane morto!, ma del Nord Atlantico o Nord Pacifico (lo so, il granchio di qualità – ahimè – costa!).
- 200 grammi di patate lessate e schiacciate
- 1 uovo
- 2 cucchiai di maionese, possibilmente fatta in casa, ma va bene anche quella preparata
- 1 cucchiaio di senape di Dijon
- 50-60 gr di crackers, tritati abbastanza finemente
- Il succo di un lime appena spremuto
- 1 cucchiaino e ½ di salsa Worcestershire
- 1 pizzico di sale
- 1 pizzico di pepe bianco appena macinato
- coriandolo fresco tritato
- olio di arachidi per friggere
- salsa Tartara per accompagnare
Preparazione:
In una ciotola, mescolate delicatamente la polpa di granchio, l’uovo (intero), le patate lesse, la maionese, la senape, il succo di lime, la salsa Worcestershire, i crackers, il coriandolo tritato, il sale e il pepe.
Dal composto risultante (deve avere la consistenza delle polpette, se fosse troppo liquido aggiungete un po’ di crackers) create delle “polpette” piatte alte circa 2 cm (del diametro che preferite, come detto sopra) che formeranno le Crab Cake.
Scaldate l’olio di arachidi in una padella antiaderente a fuoco medio e, dopo averle passate nel pangrattato, appoggiate poi delicatamente le polpette nell’olio, aiutandovi se necessario con una spatola. Per farle venire più croccanti potete farle riposare 15-20 minuti in frigo, una volta impanate, prima di friggerle.
Friggete quindi le Crab Cake all’incirca 5 minuti per lato, o comunque fino a quando non saranno dorate. Togliete le Crab Cake dalla padella e scolatele su carta assorbente per far assorbire l’olio in eccesso.
Adesso servite il piatto caldo, spruzzandolo con qualche goccia di lime, aggiungendo qualche fogliolina di coriandolo e accompagnandolo infine con la salsa tartara.
Contorni adatti: patate fritte (rigorosamente fresche e non congelate), asparagi grigliati, coleslaw (la tipica insalata americana di cavolo verza o cappuccio e carote, condita con olio, aceto, maionese, sale e pepe), insalata di misticanza verde, magari con l’aggiunta di avocado a cubetti.
Ceviche (si legge “sevice”)
Per l’etimo della parola ceviche sono state fatte diverse ipotesi. L’Accademia Reale Spagnola propone nel suo dizionario, che la parola cebiche possa aver avuto origine dall’arabo ﺳكباج (sikbāǧ) e attraverso contaminazioni successive, sia giunto a noi come, assukkabāǧ: “metodo per conservare il cibo mediante alimenti acidi”, come l’aceto, da cui deriva anche l’escabeche preparato in Spagna (la nostra “scapece”).
Vi sono altre fonti che affermano che “cebiche” derivi dalla parola “cibo”. Così veniva chiamata l’esca utilizzata dai pescatori di origine africana lungo le coste peruviane. Nel momento in cui il padrone dell’imbarcazione ordinava il pranzo, divideva il pesce crudo avanzato come esca con i pescatori; siccome era scadente, se non addirittura puzzolente, i pescatori solevano unirgli del limone, dell’aglio e della cipolla allo scopo di renderlo più gradevole.
Così al posto di “cibo”, la parola si è modificata in “cebiche”.
La maggior parte degli storici concorda sul fatto che il ceviche (conosciuto anche come cebiche, seviche, o sebiche), abbia avuto origine durante il periodo coloniale nell’area dell’attuale Perù.
Propongono che il predecessore del piatto sia stato portato in Perù da donne andaluse di origine moresca che accompagnavano i Conquistadores e che questo piatto alla fine si sia evoluto in quello che oggigiorno è conosciuto e considerato come ceviche.
Lo chef peruviano Gastón Acurio (ambasciatore della cucina peruviana, titolare di diversi ristoranti in vari paesi e autore di diversi libri; in Perù è conduttore di un programma televisivo e collabora con varie riviste di cucina) spiega inoltre che la posizione dominante che Lima ha tenuto per quattro secoli come capitale del Vicereame del Perù ha permesso di portare piatti popolari come il ceviche in altre colonie spagnole della regione e di diventare alla fine parte della cucina locale, incorporando sapori e stili regionali.
Tanto è vero che il ceviche è, oggi, tipico della gastronomia di paesi dell’America Latina che si affacciano sull’Oceano Pacifico quali: Colombia, Cile, Perù, Ecuador, Panama, Messico, El Salvador, Nicaragua, Costa Rica e Guatemala.
Ultimamente, con la globalizzazione e la diffusione delle cucine etniche nel resto del mondo, è facile trovare il ceviche nei menù di molti ristoranti anche in Europa, e in Italia in particolare.
L’origine peruviana del piatto è ampiamente condivisa e supportata da chef tra i quali il cileno Christopher Carpentier e lo spagnolo Ferran Adrià, che in un’intervista hanno dichiarato: “Il ceviche è nato in Perù, e quindi quello realmente autentico e genuino è quello peruviano”.
Christopher Carpentier Ferran Adrià
Sull’origine della ricetta esistono diverse interpretazioni. La sua preparazione avrebbe origini sul mare, mentre alcune teorie la situano presso la gastronomia dei popoli indigeni, situati lungo la costa dell’oceano Pacifico del Sudamerica e lungo le coste peruviane: precisamente nei pressi di Trujillo, Chiclayo, Piura e Lima. Secondo fonti storiche peruviane, il ceviche è originario in primo luogo, presso la cultura mochica, lungo il litorale del loro attuale territorio.
Il ceviche può essere preparato con diversi tipi di pesce: pesce bianco, pesce spada, sgombro, gamberi e perfino polpo.
Gli ingredienti fondamentali di qualsiasi ceviche sono: pesce, succo di lime, peperoncino e sale. A tali ingredienti normalmente si aggiungono cipolla rossa, coriandolo, cetriolo, pomodorini rossi. Opzionale, l’avocado (tipico di quelle regioni del mondo) e il sedano.
Il ceviche tradizionalmente si serve in un piatto piano, sia come antipasto, che come piatto principale. Nello stesso modo nell’alta cucina lo si può trovare servito in larghe coppe e, più recentemente, venduto nelle strade come snack nello stile fast food.
Esistono varie declinazioni del ceviche originale.
Per esempio, quelle create dallo chef giapponese di fama internazionale Nobu (di cognome Matsuhisa, nome del suo primo ristorante aperto nel 1987 a Los Angeles, su La Cienega Blvd), che ha scoperto le sue doti in cucina quando aveva 24 anni, mentre lavorava in un ristorante a Lima, in Perù per l’appunto.
Nobu coltivava il sogno di diventare un grande sushi chef, ma non aveva per niente fatto i conti con la difficoltà di trovare gli ingredienti freschi della cucina giapponese in Perù.
Così, in questa situazione, diede libero sfogo al suo estro e alla sua fantasia; decise così di creare piatti in cui gli ingredienti della cucina peruviana incontravano e si fondevano con quelli dello stile giapponese.
Dalla sua creatività sono nati piatti come il Tiradito o il New-Style Sashimi. Ci tengo a confessare, qui, che Nobu è uno dei miei miti, dei miei punti di riferimento; spesso riproduco sue straordinarie ricette (ahimè, non con gli stessi identici risultati, anche se mi avvicino abbastanza).
New-Style Sashimi di Nobu
Ingredienti:
- Pesce crudo (può essere pesce bianco, gamberi, pesce spada, ecc., a gusto come sopra). Il pesce dovrebbe essere stato precedentemente abbattuto e conservato in freezer per almeno 48-72 ore
- Succo di lime o arancia (o un mix dei due)
- Cipolla rossa di Tropea
- Peperoncino piccante fresco
- Tabasco
- Pomodorini rossi (di tipo ciliegino o datterino)
- Olio EVO
- Sale e pepe
- Coriandolo fresco (è fondamentale!)
- Cetriolo (opz – eventualmente togliendo i semi)
- Avocado (opz – io lo metto sempre!)
- Sedano (opz)
Preparazione
Tagliate il pesce a cubetti (della misura preferita, io normalmente lo taglio a cubi di 1,5-2 cm di lato) e mettetelo a marinare in una ciotola con il succo di lime, unendo la cipolla tritata, i pomodorini a pezzetti, un po’ di peperoncino fresco tritato (eliminando i semi, per la quantità regolarsi a gusto, ma tenete presente che il ceviche deve essere un po’ piccante), il coriandolo fresco tritato, qualche goccia di tabasco, olio. Per ora non aggiungete sale e pepe. Mescolate ogni tanto.
Il pesce cambierà leggermente colore, a causa della marinatura, virando al biancastro, ma questo non vi deve preoccupare, è normale.
Dopo 7-8 minuti scolate il pesce (si sarà formata un po’ di acqua di vegetazione), salate e pepate e servitelo in un piatto (o coppa) accompagnandolo con dei tacos o chips di mais, oppure con delle “coppette” di insalata iceberg (lavata e asciugata), da usare per avvolgerci dentro un po’ di ceviche.
BUON APPETITO!
Ceviche di gamberi Ceviche di pesce bianco Ceviche di pesce bianco con chips di mais Ceviche di gamberoni con insalata iceberg Ceviche di polpo