In politica i fatti raramente corrispondono alle parole (come in tante altre professioni).
Ma la politica non se ne preoccupa, il suo fatturato, il suo prodotto interno lordo sono le parole. Dopo la letteratura è la disciplina più verbosa e prolissa. Francamente un po’ ripetitiva.
Confesso di non credere ciecamente a quello che affermano i partiti e ogni volta
mi diverto a constatare la distanza, la distonia tra il dire e il fare.
Ad esempio: si fa chiamare centro-destra ma è solo di destra, il centro-sinistra è solo di centro. Mentre il centro-centro, vagheggiato e concupito da tutti, è formalmente vuoto.
Giuseppe Conte si dichiara di centro ma il PD lo considera l’astro nascente della sinistra.
Si presume che l’interessato sappia meglio di ogni altro che cosa vuole essere: niente da fare, Zingaretti e soprattutto Bettini sono sicuri che è un rivoluzionario.
Zingaretti è la vittima di tutto e di tutti (ma anche -e molto- di se stesso).
Al momento del governo giallorosso (Conte 2) voleva le elezioni, anche per rientrare in possesso di una quarantina di parlamentari che Renzi gli aveva portato via al momento della scissione.
Ma proprio Renzi, il nemico numero uno dei 5Stelle, aveva convinto tutti a sostenere il nuovo Conte.
In effetti non è stato difficile convincere chi c’era già a rimanere al governo e chi era fuori a ritornarci.
Chi ha eliminato Conte è noto (senza congiure internazionali).
Per la scelta del sindaco di Roma siamo arrivati al paradosso: Zingaretti non vuole lasciare la Regione, anzi fa entrare in giunta i pentastellati come gesto propiziatorio alla convergenza su una candidatura “unitaria” dei democratici.
La Raggi, che nel frattempo aveva perso l’appoggio persino della maggioranza del suo gruppo consiliare, senza sentire nessuno, con un semplice post si autoricandida, tra il giubilo generale del Movimento, fino allora criticissimo.
Peccato che nel frattempo Letta avesse convinto il Presidente del Lazio -che nella vaccinazione si è comportato benissimo- a candidarsi, a scapito del povero ex ministro del tesoro, lealissimo numero due di Conte al governo.
Come si fa nelle organizzazioni mafiose, la sentenza di morte è spettata a Conte, il più vicino alla vittima.
Cosa potrà pensare un elettore o un ex elettore del PD di fronte ad un partito che, uno dopo l’altro, delegittima i suoi massimi dirigenti, in nome di una alleanza che esiste solo nella testa di qualcuno.
In effetti i 5Stelle sono coerenti. Nessuno loro esponente ha mai fatto un gesto reale e concreto nei confronti degli aspiranti soci. Ma c’è una ragione: essi vivono il PD come il concorrente principale nel loro stesso segmento elettorale.
Nati solo per distruggere la vecchia oligarchia del Paese, essi non hanno un programma proattivo e progettuale. Si riservavano di chiederlo successivamente al “popolo”.
Si dichiarano post ideologici, che significa collocarsi in mezzo ai due schieramenti, pronti a governare con entrambi, giustificando la presenza con qualche tema identitario.
Ad esempio fare o non fare il ponte sullo stretto. Se si o no lo decideranno in seguito. E se lo faranno sarà ecologico (speriamo non biodegradabile).
Vi sembra possibile che il primo partito italiano si giochi il suo 32% di consensi sulle rette o rate della piattaforma? Che qualche centinaia di euro mensili possa invalidare la novità del partito “digitale”? E che il paladino della democrazia diretta non possieda i nominativi dei suoi soci- iscritti?
Chi si è piazzato in una condizione inattaccabile è Salvini che dice tutto e il suo contrario. Da quando è segretario di lotta e di governo di un partito contemporaneamente al potere e all’opposizione, difficilmente potrà essere sbugiardato su quanto dichiarato. A meno di pretendere che egli precisi meglio quando è uno o l’altro. Che ne sò?! È maggioranza i giorni dispari e minoranza quelli pari. Oppure ci aiuta a capirlo attraverso il colore delle mascherine.
Io un suggerimento l’avrei. Governativo fino alle ore 22, antigovernativo durante il coprifuoco.