Ma il Recovery Fund è davvero un accordo storico che cambierà l’economia dei 27 paesi Ue dopo la crisi del Covid? Se ci si dovesse basare sui commenti della stampa e sulle dichiarazioni dei massimi dirigenti europei si direbbe di sì ma la indiscutibile realtà dei numeri a livello mondiale smentisce questa tesi.
Nessuno in Europa ha voluto confrontare l’impegno di 750 miliardi di euro del Next Generation Eu (il nuovo nome del Recovery Fund) con quello che hanno fatto gli altri grandi paesi del mondo e non sembra un caso: nei tempi di elargizione e nella potenza di fuoco i paragoni sono impietosi a sfavore dell’accordo comunitario.
È di poche settimane fa un approfondito rapporto del Fondo monetario internazionale sulle risposte date dai Governi di tutto il mondo alla crisi pandemica dal quale emerge che in soli quattro mesi (tra marzo e giugno) i paesi del G20 hanno messo in campo complessivamente 9 mila miliardi di dollari a sostegno delle rispettive economie.
Certo, il G20 comprende i paesi più ricchi in termini di Pil del pianeta, ma anche se si paragona l’investimento promesso dalla Ue con quello dei suoi più diretti avversari, l’accordo comunitario si ridimensiona di molto, soprattutto se si prende in esame l’entità degli investimenti pro capite.
Il primo paese al mondo sono ovviamente gli Stati Uniti che risultano ancora al di sopra dell’Ue in termini di Pil (20.500 miliardi di dollari, dati 2019 del Fmi) e contano 328 milioni di abitanti: il governo americano ha stanziato ancora prima di giugno 2.300 miliardi di dollari, una cifra pari a circa l’11% del Pil e che verrà tutta immessa nell’economia nell’anno in corso.
L’Unione europea, che in termini di Pil complessivo è seconda dietro gli Usa (18.495 miliardi di dollari nel 2019) ma che conta quasi 450 milioni di abitanti (446,8 milioni dopo la Brexit), ha stanziato circa due terzi in meno e per un arco di tempo molto più lungo, visto che, secondo le previsioni, i primi soldi europei arriveranno agli stati membri verso la fine del 2021.
Lasciando da parte la Cina, terza in classifica con 13.092 miliardi di dollari di Pil, i cui dati sono poco attendibili (si parla comunque di un investimento pari al 4,1 % del Pil), a stupire sono i dati del Giappone, terzo paese al mondo e quarto in questa classifica con un Pil annuale che sfiora i 5 mila miliardi di dollari. Il Giappone, che conta 126,5 milioni di abitanti, ha investito contro il Covid una cifra enorme, pari al 21 % del suo Pil e corrispondente a circa 1300 miliardi di dollari.
Ingente è stato anche lo sforzo del Canada che ha investito circa il 15 % del Pil annuale e cioè 317 miliardi di dollari canadesi per una popolazione decisamente modesta, pari a 37,7 milioni di abitanti.
Altrettanto ingente, in rapporto alla propria popolazione di 25 milioni di persone, è l’investimento dell’Australia il cui governo ha stanziato per sostenere l’economia post Covid 164 miliardi di dollari pari a circa l’8,6% del proprio prodotto interno lordo annuale.
Anche il Brasile, che pure sta vivendo una crisi economica da diversi anni, non ha lesinato gli sforzi e il Fondo monetario sottolinea che ha investito una cifra che corrisponde all’11,8% del suo Pil.
In altre parole, tutti i più grandi paesi del mondo hanno fatto di più e da subito, anche se va ricordato che, oltre ai fondi del Recovery Fund, ogni paese europeo è intervenuto per sostenere le proprie economie con investimenti diretti ed immediati.
La Germania, con un Pil di 4.029 miliardi di dollari e quarto paese per Pil nel mondo, ha investito in due riprese una cifra notevole: prima 156 miliardi di euro e poi, a giugno, altri 130 miliardi, arrivando così a sfiorare l’8 % del Pil.
La Francia fino ad ora ha stanziato circa 110 miliardi di euro, paria circa il 5% del Pil, approvando entro giugno due maxi manovre.
Più diluito, invece, è stato l’intervento dell’Italia che è partita con i 25 miliardi di euro del Cura Italia cui si sono aggiunti a maggio i 55 miliardi della legge di Rilancio, con una incidenza complessiva del 4,6% sul PIL, incidenza destinata ad arrivare a circa il 6% del Pil con l’approvazione da parte del Parlamento del nuovo scostamento di bilancio da 25 miliardi di euro.
Occorre sottolineare però che l’intervento del Recovery Fund, che dovrebbe integrare gli sforzi nazionali, verrà messo in atto a valere sul prossimo bilancio pluriennale dell’Ue e che gli Stati membri dovranno, prima di ricevere i fondi, versare le loro quote a Bruxelles. Anche in caso di una contribuzione inferiore ai fondi che poi verranno assegnati, come dovrebbe essere il caso per l’Italia, i Paesi Ue dovranno prima versare le proprie risorse nazionali per poi poter usufruire dei fondi e soltanto se i loro piani riceveranno il sì dall’Unione europea.
Insomma, un gioco che molti definiscono a somma quasi zero, associato ad un percorso lungo e farraginoso, quando il resto del mondo globalizzato corre e investe subito cifre ben più significative del Vecchio Continente.