Rosso come la passione, l’amore viscerale, quello che ogni giorno fa sentire vivi, fa desiderare, quell’amore di cui l’anima si nutre colmandosi di emozioni. Rosso come il sangue, come i lividi di una serata passata in balia di un amore violento, che ha dispensato “pesanti carezze” lasciando i segni di un sentimento disturbato.
Alle soglie del terzo millennio ancora le cronache raccontano storie di violenza domestica, di femminicidi, di schiavismo. Oggi 25 novembre si celebra la “Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne”, le piazze virtuali si riempiono di scarpe rosse col tacco, immagini di donne tumefatte in abito da sposa, uomini che regalano fiori dopo una notte burrascosa, un piccolo gesto di solidarietà da parte di una società che istituisce ricorrenze per non prendersi responsabilità.
La realtà è ben lontana da quelle immagini composte e patinate da copertina, la realtà è che le donne subiscono violenze ogni giorno, alcune sono evidenti altre sono insidiose e invisibili ma producono lividi altrettanto importanti.
Sono tanti gli esempi di donne sfregiate, uccise, ridotte in fin di vita da uomini che non hanno saputo accettare la libertà di pensiero, di espressione e di indipendenza dell’altra metà dell’universo. Atti violenti che giustamente colpiscono l’opinione pubblica, che sono al centro della cronaca, ma la violenza non sempre si manifesta attraverso un raptus di buia follia, anzi spesso cresce in maniera esponenziale in seno ad un sentimento fino a soffocarlo e altre volte ancora si manifesta nella quotidianità come maschilismo della peggiore razza.
“Tutte noi in un modo o in un altro indossiamo il Burka”. Lo indossiamo sul posto di lavoro quando percepiamo stipendi inferiori ai colleghi uomini a parità di mansioni; a casa quando il nostro compagno non ci permette di essere indipendenti e autonome, no ci permette di realizzarsi e non ci supporta o aiuta nella gestione della famiglia; quando la società ci impone ruoli tradizionali e modelli ormai superati di quello che “dobbiamo” essere; mentre guidiamo la macchina nel traffico e qualcuno si permette di rivolgerci insulti di ogni tipo solo perchè abbiamo commesso un errore e siamo donne. Lo indossiamo ogni volta che un gruppetto di uomini fa apprezzamenti pesanti nonostante il nostro imbarazzo, quando parliamo con l’altro sesso di affari e lavoro e siamo considerate esseri inutili o inferiori o quando chi sente e vede la violenza si volta dall’altra parte invece di tenderci una mano. Lo indossiamo quando denunciamo le violenze, ma “finchè non ci ammazzano nessuno puó fare nulla”, ogni volta che qualcuno cerca di dissuaderci dal fare denuncia. Lo indossiamo tutte ogni volta che un giudice emette una condanna “leggera” per un femminicidio. Lo indossiamo ogni volta che nel silenzio delle mura domestiche un padre molesta una figlia o un uomo violenta una ragazza.
La violenza contro le donne è una radice profonda, dalle mille sfaccettature, difficile da estirpare e spesso alimentata dall’omertà perpetrata sia dalla vittima, spaventata e debole, che dal contesto familiare e dalla società.
Non saranno scarpe rosse con il tacco in piazza o spose tumefatte a salvare il sesso femminile da questa piaga, ma gli esempi positivi e i messaggi corretti che daremo ai nostri figli e alle nostre figlie, perchè tutto parte da un’educazione al rispetto e alla parità.
Non sarà una giornata celebrativa a cambiare la realtà di chi vive avvolto da questa nera spirale fatta di una quotidianità malata ed esasperante, ma la presa di coscienza e di responsabilità ad ogni livello da parte di tutti, affinché in piazza potremo un “25 novembre” togliere per sempre il “burka” invece di indossare scarpe rosse.