Ho conosciuto Saba in un giorno qualsiasi di lavoro.
Di solito questi casi vengono preceduti da una chiamata che arriva dalla ginecologia o da quei reparti che lavorano di più con i casi legati al sociale. Saba è un nome bellissimo, ti viene subito in mente la famosa Regina, amante di Re Salomone, nota per la sua bellezza, intelligenza e cultura.
La Saba che ho conosciuto io ha in comune con la regina, di certo, l’avvenenza: è alta e snella, ha dei lineamenti pressappoco perfetti e delle labbra voluminose che incorniciano il suo volto color ebano; tuttavia non è una regina. Doveva esserlo di sicuro per suo figlio Progress, un bel bimbo di 12 anni che ha lasciato in Camerun e che non vede da anni.
“Sono stata costretta a lasciarlo laggiù” mi dice, poi continua: “per arrivare qui ho passato l’inferno, volevo venire in Europa e trovare un lavoro, così avrei mandato dei soldi a casa per lui e mia madre che è rimasta al villaggio.”
Saba ha dei problemi di salute, quindi in questi casi dobbiamo organizzare delle visite di rito per comprendere al meglio il suo stato e così iniziamo un iter che in realtà seguiamo per tutti, ma che con lei è particolarmente pesante eseguire. Nulla di speciale in realtà, questioni legate alla profilassi, ma Saba è così triste, quando parla si riesce a comprendere il suo inglese in maniera difficile, ma non per il livello, più che altro per il tono con cui parla, lento e basso.
Questa ragazza, dal suo villaggio in Camerun, ha attraversato la Nigeria, per poi arrivare in Libia, con lo scopo di arrivare da lì a Lampedusa e raggiungere poi il nord dell’Europa con un permesso per protezione internazionale. Un viaggio che Saba ricorderà per sempre, a causa degli orrori visti e subiti e che racconterò solo in parte, sperando che serva ad aprire gli occhi e soprattutto le menti.
Il “problema” principale di questa ragazza è che è incinta, di nuovo, stavolta però suo figlio è il frutto delle violenze sessuali che ha subito durante la traversata che l’ha portata a finire in un lager libico. Mi dice che non vuole tenere questo bambino perchè in realtà non sa neanche chi sia suo padre; talmente numerose sono state le volte che le hanno usato violenza e altrettanti gli uomini che la hanno stuprata, che lei stessa non saprebbe dire chi sia l’uomo con cui lo ha concepito.
Lo scenario dipinto è raccapricciante, quello che mi racconta lo definirei l’incarnazione della crudeltà umana; mi parla di almeno 10 mila esseri umani (impossibile determinare con certezza il numero data l’inesistenza di un monitoraggio effettivo delle strutture) imprigionati arbitrariamente, a tempo indefinito, in luoghi senza legge né decenza, condannati a sopravvivere in condizioni tali da spregiare ogni senso del termine “umanità”. Uomini in catene, ammassati a centinaia in fabbriche, fattorie o magazzini dismessi, donne stuprate più volte al giorno e da più uomini insieme, neonati e bambini lasciati a morire di fame.
Lo stupro, etnico e di massa, riconosciuto come arma di guerra e parte dell’accusa nel processo genocidiario durante il conflitto nei Balcani nella prima metà degli anni ’90, oggi ormai è di drammatica attualità.
Come migliaia di donne vittime di questa pratica disumana in decenni di violenze nei conflitti più cruenti della storia, dal Ruanda alla Cecenia passando per quanto accade ogni giorno in Congo, Centrafrica e così via, Saba la conseguenza degli stupri se la porta in grembo.
Come tante altre donne africane, lei è l’emblema di una tragedia epocale che si sta consumando sull’altra sponda del Mediterraneo. Ma a differenza di altre, Saba è riuscita a scappare dalla prigione a cavallo tra la fine del 2018 e l’inizio di quest’anno. L’abbiamo aiutata per un po’, per la casa, il cibo, l’operazione che voleva fare, poi, come spesso accade con queste ragazze, l’abbiamo persa.
È sparita chissà dove e senza preavviso, ha semplicemente iniziato a non venire più agli incontri e a non rispondere al telefono. Troppo il dolore, troppa la vergogna, per fidarsi forse ancora di qualcuno.
Questa è la testimonianza di un orrore che la gente, le istituzioni persino, non vogliono vedere; sperai che fosse una testimonianza di passaggio perchè ogni volta che ricordavo quelle parole avevo il mal di stomaco.
Non è mai stata una testimonianza di passaggio, poco a poco di Saba ne sono arrivate altre, e l’orrore è diventato sempre più reale.
Se c’è un posto ove muore la dignità dell’uomo, sono ad oggi, i lager libici; sono storie che me ne ricordano altre, di qualche decennio fa, in cui le modalità forse cambiano, ma la crudeltà rimane la stessa.
È triste come l’uomo, impari poco o niente dal passato e come, sia propenso di nuovo a cadere in questo scempio. Colpevoli coloro che sono i carnefici, colpevoli coloro che stanno a guardare. Allo stesso identico modo.
Mi piacerebbe che Saba trovi pace, serenità, comprensione, ma so già, come solo il colore della sua pelle le causerà problemi, ed è un discorso che, a questo punto della storia, non dovrebbe più neanche esistere; tuttavia continua ad avvelenarci, insieme a discriminazioni che sono all’ordine del giorno e fanno sempre più parte della nostra realtà.