Le risposte spesso non arrivano. I social non sono infatti sempre obbligati a fornire le informazioni in loro possesso, né sono previste sanzioni se non lo fanno.
Specialmente in Europa, fanno quello che vogliono.
Le richieste inviate dal nostro Paese hanno ricevuto una risposta (sono stati cioè forniti alcuni dati) in poco più della metà dei casi (52%) per quel che riguarda Meta, nel 65% per Google e in appena il 25% per Tiktok. Situazione simile in Spagna, mentre la Germania e, soprattutto la Francia, hanno tassi più alti.
In Italia, l’obbligo di fornire risposte all’autorità giudiziaria vige, ad esempio, per gli operatori telefonici con sede nel nostro Paese che, se non forniscono i dati, rischiano anche la revoca della concessione. Ma questo non vale per i social o per gli operatori telefonici come whatsapp, poiché la loro sede è altrove.
A fronte di un diniego, non sono previste né sanzioni né procedure che rendono eseguibile il provvedimento di richiesta.
Le piattaforme sono tenute a proteggere le informazioni degli utenti e nelle loro policy indicano i criteri con cui forniscono i dati, sottolineando che ogni domanda viene esaminata e valutata.
Molti procedimenti penali avviati in Italia vengono quindi archiviati per assenza dei dati identificativi degli utenti. Parliamo di terrorismo, rapimenti, moltestie, pedo-pornografia.
Si sta lavorando su un accordo che preveda l’accesso ai dati nelle procedure di emergenza (quando c’è, ad esempio, pericolo di vita) ma i tempi per l’operatività sono tutt’altro che brevi.
Fonte: IlSole24Ore, elaborazione su dati dei Transparency Report