mercoledì 6 Novembre 2024
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Sull’uso dei femminili “professionali”

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Alcune riflessioni sull’uso dei femminili professionali:

  1. esistono da prima che qualcuno le considerasse parole brutte, non sono un’invenzione femminista: se vogliamo usare l’italiano attingendo al vocabolario, vanno adottati (e con questo potremmo chiudere la faccenda, ma andiamo oltre se vuoi);
  2. suonano male solo perché non sono usati, non suoneranno più male se li renderemo abituali (dico anche le ovvietà);
  3. sono poco usati perché in passato alcuni ruoli professionali erano appannaggio degli uomini, oggi non è più così e il linguaggio che descrive la realtà (giustamente e come fa sempre) si adegua;
  4. le resistenze a questa evoluzione non sono linguistiche ma sociali e culturali (sessismo e patriarcato in prima fila);
  5. del resto, dubito che un ostetrico si sia mai definito ostetrica solo perché la maggioranza di persone che svolge questo mestiere è donna, la stessa cosa vale per per i maestri di scuola o per gli infermieri…;
  6. ma come sottolinea Vera Gheno, le resistenze ai femminili professionali riguardano prevalentemente ruoli considerati “prestigiosi” (sindaca, ministra, avvocata, ingegnera, assessora, autrice…), guarda un po’;
  7. nella ricerca di equità le battaglie da combattere sono su più fronti (linguaggio, salario, accesso al lavoro, opportunità di carriera ecc…), non ci sono fronti di serie A e fronti di serie B, diritti che valgono di più e diritti che valgono di meno;
  8. e certo, non si risolve tutto con il linguaggio, così come non si risolve tutto con il salario, si risolve tutto occupandosi di tutto e non lasciando niente per strada;
  9. torno all’ovvio: la nostra lingua non prevede il neutro, di conseguenza il maschile non può essere neutro (e non lo è per il nostro cervello che se sente la parola “ingegnere” pensa a un maschio pur sapendo che ci sono ingegneri femmine);
  10. i femminili professionali di conseguenza, non rispondono a un politicamente corretto ma all’esigenza di rappresentare la realtà per ciò che è (e che è oggi).

Quindi bene che lottiamo per i nostri diritti, nessuno escluso però.
Ricordandoci sempre che i diritti non tolgono niente a nessuno.

Infine, e poi chiudo, parlare di vocali (sì, mi riferisco a Ambra e a ciò che ha detto al concerto del primo maggio) come se fossero un gingillo superfluo, come se fossero altro dalle parole e da ciò che le parole possono fare nel concorrere a un’evoluzione culturale sempre troppo lenta, significa continuare a occuparsi del contenuto tralasciando il processo.

Come nominiamo la realtà ci aiuta a crearla, a interagire con essa e anche un po’ a cambiarla.






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