Alcune riflessioni sull’uso dei femminili professionali:
- esistono da prima che qualcuno le considerasse parole brutte, non sono un’invenzione femminista: se vogliamo usare l’italiano attingendo al vocabolario, vanno adottati (e con questo potremmo chiudere la faccenda, ma andiamo oltre se vuoi);
- suonano male solo perché non sono usati, non suoneranno più male se li renderemo abituali (dico anche le ovvietà);
- sono poco usati perché in passato alcuni ruoli professionali erano appannaggio degli uomini, oggi non è più così e il linguaggio che descrive la realtà (giustamente e come fa sempre) si adegua;
- le resistenze a questa evoluzione non sono linguistiche ma sociali e culturali (sessismo e patriarcato in prima fila);
- del resto, dubito che un ostetrico si sia mai definito ostetrica solo perché la maggioranza di persone che svolge questo mestiere è donna, la stessa cosa vale per per i maestri di scuola o per gli infermieri…;
- ma come sottolinea Vera Gheno, le resistenze ai femminili professionali riguardano prevalentemente ruoli considerati “prestigiosi” (sindaca, ministra, avvocata, ingegnera, assessora, autrice…), guarda un po’;
- nella ricerca di equità le battaglie da combattere sono su più fronti (linguaggio, salario, accesso al lavoro, opportunità di carriera ecc…), non ci sono fronti di serie A e fronti di serie B, diritti che valgono di più e diritti che valgono di meno;
- e certo, non si risolve tutto con il linguaggio, così come non si risolve tutto con il salario, si risolve tutto occupandosi di tutto e non lasciando niente per strada;
- torno all’ovvio: la nostra lingua non prevede il neutro, di conseguenza il maschile non può essere neutro (e non lo è per il nostro cervello che se sente la parola “ingegnere” pensa a un maschio pur sapendo che ci sono ingegneri femmine);
- i femminili professionali di conseguenza, non rispondono a un politicamente corretto ma all’esigenza di rappresentare la realtà per ciò che è (e che è oggi).
Quindi bene che lottiamo per i nostri diritti, nessuno escluso però.
Ricordandoci sempre che i diritti non tolgono niente a nessuno.
Infine, e poi chiudo, parlare di vocali (sì, mi riferisco a Ambra e a ciò che ha detto al concerto del primo maggio) come se fossero un gingillo superfluo, come se fossero altro dalle parole e da ciò che le parole possono fare nel concorrere a un’evoluzione culturale sempre troppo lenta, significa continuare a occuparsi del contenuto tralasciando il processo.
Come nominiamo la realtà ci aiuta a crearla, a interagire con essa e anche un po’ a cambiarla.