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«La domanda, ingenua o tranello che fosse, gliel’ha fatta un giornalista di Playboy: se perde, lei accetterà il normale e pacifico passaggio dei poteri al suo successore? Donald Trump ha risposto sostanzialmente di no. “Abolite le schede per corrispondenza – ha detto il presidente – e tutto sarà pacifico. Non ci sarà trasferimento dei poteri, francamente, ci sarà continuità”.
In altre parole: o vinco io e tutto va bene, oppure denuncio brogli sul voto per posta e non riconosco la vittoria di Joe Biden. Sorpresa? No, perché è da tempo che Trump rielabora questo messaggio. I democratici lo denunciano come un attacco alla democrazia, l’ennesimo da parte di un presidente che trasuda disprezzo per le istituzioni.
La destra non si scompone ma garbatamente si dissocia, i maggiorenti del partito repubblicano fanno sapere che non c’è nulla da temere, il passaggio delle consegne si farà, se questo è il verdetto degli elettori, nella consueta normalità.
Nel frattempo però c’è un piano B, che passa attraverso la blindatura della Corte suprema. Sabato Trump annuncia la sua candidata per riempire il seggio rimasto vacante dopo la morte della giudice progressista Ruth Bader Ginsburg. La destra finora ha fatto quadrato attorno a lui ed ha i numeri per portare a casa questa nomina prima del voto. Se lo spoglio delle schede elettorali dal 3 novembre in poi si prolunga oltremodo per i ritardi postali, se è perturbato da miriadi di ricorsi legali contro le schede spedite (prevalentemente democratiche, dicono i sondaggi sulle intenzioni di voto), ad arbitrare la contesa potrebbe essere un tribunale costituzionale con sei giudici repubblicani contro tre democratici. Uno scippo è possibile, dunque. Ma non è inevitabile. La macchina delle elezioni in America è decentrata, il governo federale non la controlla, salvo rarissime eccezioni in passato la correttezza ha improntato i comportamenti degli attori locali.
Dare per scontato che questa sia la vigilia di un golpe, in fondo fa il gioco di Trump. In questo simile a Vladimir Putin e Xi Jinping, lui adora screditare e sbeffeggiare le tradizioni liberaldemocratiche. Dalle sue minacce purtroppo si può prevedere questo: se dovesse perdere, una volta lasciata la Casa Bianca lui vorrà esercitare la leadership di un’opposizione tutt’altro che normale» [Rampini, Rep].
“Ci sarà l’equivalente di una guerra civile, che comincerà la sera del 3 novembre, quando si rifiuteranno di dichiarare Trump presidente”. A fare questa previsione apocalittica è Steve Bannon, ex consigliere della Casa Bianca, durante un webinar organizzato dal Metropolitan Republican Club a cui siamo invitati. Il titolo è «I democratici stanno rubando queste elezioni» e l’obiettivo è spiegare ai militanti del Gop la strategia per sgominare il presunto complotto.
Il manager della campagna presidenziale nel 2016 parla da Central Park South, una delle vie più costose di Manhattan, dove si è rifugiato dopo l’arresto per frode ad agosto. Ha pagato la cauzione da 5 milioni di dollari, è tornato libero, e questa è la sua prima uscita pubblica: “Il Covid è stato creato dal Partito comunista cinese, e i democratici pensavano che li avrebbe fatti vincere. Durante le primarie però si sono accorti che avevano terrorizzato così tanto i loro elettori, da rischiare la sconfitta. Il 69%, infatti, non vuole andare ai seggi. Allora hanno pensato questo complotto per rubare le elezioni, basato sul voto postale, inviando tra 60 e 80 milioni di schede da manipolare. Lo ha spiegato il Transition Integrity Project, un gruppo di presunti intellettuali bipartisan. Hanno già assunto 800 avvocati guidati da Eric Holder, ministro della Giustizia con Obama, e presentato oltre 200 cause, per cambiare le leggi elettorali ed eliminare i limiti alla conta dei ballot spediti. Se l’8 dicembre Biden non avrà un vantaggio sufficiente per vincere la votazione del 14 dicembre nel Collegio Elettorale, faranno scegliere il presidente a Nancy Pelosi, quando il Congresso si riunirà il 6 gennaio” [Mastrolilli, Sta].
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Clamoroso
Finanziamento pubblico all’Università di Perugia (caso Suárez), che negli ultimi 15 anni ha dimezzato i suoi iscritti: 12.758 euro a studente. Finanziamento pubblico all’Università di Bergamo che nell’ultimo anno ha incrementato dell’8% il numero dei suoi iscritti: 2.786 euro a studente [Bruno, Sole].