Secondo l’Università di Teramo alla base della longevità ci sono una ricca biodiversità agroalimentare e abitudini alimentari consolidatesi dall’antichità. E’ così che in alcune località dell’Abruzzo vi sono centenari in numero paragonabile o superiore a quello del famoso comune sardo di Villagrande.
Un pasto al giorno per vivere a lungo
Gli anziani abruzzesi e le loro abitudini alimentari rappresentano un patrimonio scientifico, culturale e antropologico da tramandare alle nuove generazioni, afflitte da problematiche metaboliche legate all’eccesso calorico e al crescente diffondersi del cibo spazzatura.
Da questa convinzione nasce lo studio “CenTEnari”, coordinato dal prof. Mauro Serafini della Facoltà di Bioscienze dell’Università di Teramo che, come obiettivo principale, si propone di studiare le caratteristiche metaboliche, immunitarie e genetiche, nonché le abitudini alimentari e la valenza funzionale delle ricette tradizionali dei nonagenari e centenari abruzzesi, con il fine ultimo di sviluppare linee guida finalizzate al benessere della popolazione attuale. Il progetto, oltre agli obiettivi scientifici, vuole fornire informazioni e competenze che possano fungere da volano per campagne di valorizzazione dei rapporti tra territorio abruzzese, cibo e longevità.
La fattibilità del Progetto CenTEnari nasce dall’elaborazione dei dati ISTAT dei Comuni e delle Province abruzzesi relativi a uomini e donne di età superiore ai 90 anni per stimare la frequenza di longevità. I risultati hanno evidenziato come siano circa 150 i comuni abruzzesi, rappresentativi delle quattro province, con un tasso di longevità paragonabile o superiore a quello del famoso comune sardo di Villagrande ‒ centro della blue zone italiana – che conta il maggior numero di uomini ad aver raggiunto e oltrepassato la soglia dei 100 anni. I comuni più longevi sono localizzati principalmente nelle aree interne, in quattro aree contigue ai Parchi del Gran Sasso e della Majella e alla Marsica.
La regione Abruzzo possiede una biodiversità agroalimentare di primo piano che ha caratterizzato le abitudini alimentari della regione sin dall’antichità. Questa alimentazione del passato possiede molte similarità con la dieta mediterranea indicata come modello nutrizionale e sostenibile associato alla longevità. È altresì vero che l’Abruzzo possiede dei prodotti e delle abitudini alimentari peculiari, basti pensare agli orapi di montagna, alle cicerchie, all’utilizzo delle erbe di campo e alla pratica dello “sdijunare”, che in dialetto abruzzese, significa rompere il digiuno della notte.
Lo “sdijuno” era il primo pasto abbondante e consistente della giornata che seguiva al pasto frugale del tramonto e a una colazione minima, garantendo all’organismo un periodo di digiuno di circa 14/16 ore. Questa abitudine alimentare abruzzese è perfettamente in linea con le più recenti evidenze scientifiche che hanno evidenziato l’importanza di concentrare i pasti della giornata, ma soprattutto di limitare l’apporto calorico la sera, quando il metabolismo, seguendo i ritmi circadiani, rallenta. Sulla base di queste premesse, lo “sdijuno” abruzzese si propone come modello alimentare peculiare e ante litteram rispetto alle recenti diete del digiuno, in grado di spiegare, insieme a fattori ambientali, nutrizionali e genetici, la longevità abruzzese.