Hong-Kong è un nome molto poetico: significa letteralmente “porto profumato”, ma, per molto tempo ha indicato, e tuttora individua, soprattutto, un importante luogo d’approdo, un centro e uno snodo di traffico commerciale di grande portata. Ciò che vi sta avvenendo in questi giorni ha un rilievo politico che non è stato sottolineato abbastanza.
Probabilmente, perchè è la dimostrazione lampante di una verità piuttosto scomoda e non gradita a tutti quelli che sono stati seguaci, convinti ed entusiasti (e ancora ve ne sono, talvolta, addirittura fanatici) , di ideologie ugualitarie e utopie universalistiche ritenute, per troppo tempo, salvifiche per l’umanità.
Oggi che la città cinese è in preda a scontri violentissimi e che un dimostrante è stato ucciso, con un colpo di pistola sparatogli al petto, a distanza ravvicinata, da un poliziotto, la gente comincia a scendere sempre più numerosa in strada e nelle piazze, ponendosi domande molto inquietanti sul suo futuro.
Anche l’opinione pubblica mondiale si chiede se gli abitanti di Hong Kong, divenuti dal 1° luglio del 1997 cittadini di una regione amministrativa, sia pure speciale, della People’s Republic of China, forgiata sull’ideologia marxistica non rimpiangano amaramente i centocinquantesei anni (con una breve parentesi di occupazione giapponese al tempo della seconda guerra mondiale) in cui sono stati parte di una colonia del Regno Unito di Gran Bretagna.
E ciò, anche se la Hong Kong Basic Law, il documento costitutivo della Regione speciale, si differenzia notevolmente da quello della grande madre Patria. Esso segue, infatti, il modello di ordinamento giuridico di Common Law per il funzionamento della magistratura e preveda un alto livello di autonomia in quasi tutti gli aspetti della vita pubblica (fanno eccezione soltanto le relazioni estere e la difesa militare).
I fatti recenti di Hong-Kong richiamano alla mente l’insegnamento riferibile, mutatis mutandis, a Tucidide: la polis non è fatta dalle sue mura, dai suoi palazzi, dalle sue piazze, dalle sue vie, dai suoi parchi, dalle sue, eventuali, opere d’arte e dalle sue ipotizzabili attività e traffici commerciali ma dalla natura, dai pregi o dei difetti dei suoi abitanti, tra i quali sono, in prima linea, i governanti che essa riesce a esprimere.
E sotto questo aspetto, non v’è dubbio che le idee dominanti nella saggia Inghilterra, riuscendo a imporre il modello britannico come esempio di convivenza politico-sociale, hanno, per così dire, profondamente cambiato il DNA dei cittadini di Hong Kong che non tollerano più i metodi autoritari dell’oppressivo governo della Cina popolare.
Le idee assimilate nel secolo e mezzo di vita della colonia del Regno Unito di Gran Bretagna, sono le stesse che, con poche variazioni, rendono fulgido il ricordo dei momenti per così dire “magici”, ma brevissimi (perché subito violentemente distrutti dagli assolutismi religiosi e ideologici) anche del nostro passato di Romani, prima, e di Italiani, dopo.
Di grande lucidità e di rigorosa logica (pur sempre in presenza, naturalmente, di irrazionalità di vario tipo) sono stati, infatti:
a) i nostri progenitori dell’evo greco-romano (sino ai tempi della Roma repubblicana) e
b) i protagonisti noti e meno noti del Rinascimento Italiano, da Francesco Petrarca a Niccolò Machiavelli, da Giordano Bruno, a Galileo Galilei; dopo la scoperta del “De rerum natura” di Tito Lucrezio Caro, che dei primi narrava i successi speculativi e di ricerca in campo filosofico e astro-fisico.
Prima domanda: In base a quale disgraziata congiuntura di eventi, il raziocinio ha cambiato Paese ed abbandonato l’Italia, trasferendosi oltre le scogliere di Dover? L’insegnamento empiristico e pragmatico ha reso possibile, in quei luoghi fortunati, non solo il miracolo creativo del Teatro Shakespeariano ed Elisabettiano ma anche e soprattutto la mirabile fioritura della filosofia, della scienza fisica e della matematica? Perché non ha potuto durare fino ai nostri giorni anche nel Bel Paese? La risposta è agevole! Tra quei due eventi vi sono stati, in Italia, troppi secoli di oscurantismo religioso e di assolutismo politico (teocrazie, monarchie, oligarchie, tirannie) l’uno più dell’altro di forte impronta oppressiva e illiberale.
Seconda domanda: oggi le condizioni storico-politiche sono ben diverse; che cosa impedisce oggi che anche sullo Stivale la ragione possa prevalere sull’irrazionalità? Molte circostanze: vi sono ancora troppe guardie svizzere a fare buona guardia all’autoritarismo, solo apparentemente soft, dei Pontefici e soprattutto sono ancora in prevalenza gli intellettuali infarciti non solo di una cultura dell’odio prodotto nel mondo dall’idealismo tedesco hegeliano (post-platonico) e dall’illuminismo francese il cui vero volto è apparso chiaro solo negli anni del Terrore. Il sogno di trasformare, quindi, i cittadini italiani (che pur sarebbe molto più importante che cambiare le leggi o riformare le istituzioni) in individui razionali e pensanti, sottratti alle emozioni compulsive delle utopie irrazionali (e quasi sempre aggressive e cruente) è oltremodo difficile.
Solo uno sforzo generale e collettivo di tendere a un pensiero libero, una volontà ferrea di non lasciarsi condizionare da visioni mentali, distorte e dannose, della vita, un orientamento decisamente ostile ai pregiudizi e ai preconcetti di bontà universale potrebbe rendere superabile il nostro gap rispetto a Paesi anti-ideologici e a-religiosi (appartenenti a una chiesa, anglicano-calvinista, rimasta “intollerante” solo per gli affari di letto, se utilizzabili nella lotta politica).
Migliorare se stessi per rendere più vivibile e accettabile il proprio status di convivenza collettiva richiederebbe una concentrazione immane e una volontà non comune di voler cambiare le cose. E ciò, pur nella consapevolezza (di quanti?) che solo un mutamento radicale dell’individuo può preludere a una diversa res publica. Essa, infatti, altro non è che la proiezione delle caratteristiche dei suoi cittadini.
Terza domanda: gli Italiani potranno rinunciare alla loro furbizia e al loro conformismo (entrambi motivati dalla brama di acquisire benefici o dalla voglia di evitare “rogne”) e cercheranno di capire, con intelligenza e perspicacia, che l’attuale, progressivo degrado e declino del proprio Paese rischia soltanto di portarli sempre più a fondo?
Quarta domanda: i medesimi capiranno un giorno che lo spettro che incombe su di loro è quello dei Paesi del Sud-America dove i cartelli mafiosi, protetti da processioni di Santi e Madonne (con o senza inchini davanti alle case dei boss) e al “conforto” misericordioso di interessati “perdoni” occupano tutti gli spazi possibili per controllare e dominare la vita dei loro cittadini, in un tripudio di loschi business, di traffici illeciti, di smerci colossali di droghe, e di endemica corruzione dei pubblici uffici? E che solo se troveranno il coraggio, non per astratte, non più sentite (e spesso fasulle) motivazioni etiche, ma per un intelligente calcolo politico di convenienza (per non avere il destino del Sud e del Centro America) di darsi una drizzata di schiena e divenire “onesti” per la salvezza, non dell’intero universo, ma più specificamente e concretamente di essi stessi e dei loro discendenti?
Quinta domanda: quando si renderanno conto che solo i cittadini integri, corretti, puliti, perbene non sopportano a lungo un sistema politico corrotto e non si lasciano abbacinare dalle artefatte virtù di leader di partito, ignoranti e sostanzialmente marci?
Conclusione: L’impresa di utilizzare il raziocinio per capire i pericoli insiti in una situazione politica che va sempre più slabbrandosi e deteriorandosi non è agevole; ma non più rinviabile. Gli abitanti dello Stivale nel corso della loro bimillenaria storia, hanno fornito due prove di esserne capaci. Solo ciò può alimentare ancora un sottile filo di speranza.