“Ero convinto che bastasse svelare gli intrighi, le compromissioni, le prevaricazioni, gli abusi, mostrarli alla comunità, perché questa naturalmente si orientasse verso il bene. Devo ammettere che non è così. Per conoscere è innanzitutto necessario essere informati, e l’informazione è compito dei media. Ho dovuto misurarmi con qualche disillusione anche nei confronti della stampa e degli altri mezzi di comunicazione di massa. Proprio nell’osservare come le nostre scoperte venivano divulgate, è maturato progressivamente il timore che la stampa tenda a spettacolarizzare più che ad analizzare e approfondire […] Mani pulite mi ha fatto comprendere che la cultura viene prima delle regole e che se non cambia la cultura, le regole […] non vengono rispettate. Mi ha fatto capire che non è sufficiente sapere, nel senso di avere informazioni, perché è necessario sapere nel senso etimologico del verbo latino SAPIO […] aver sapore, sapore buono o cattivo, sapore di giusto o sapore di sbagliato. Nessuno di noi, dopo Mani pulite può dire di non sapere […] ma sappiamo che questo non basta, che è necessario qualcos’altro” (G. Colombo, Lettera a un figlio su MANI PULITE).
“Il giornalismo non è un mestiere che consente un tempo libero autonomo rispetto alla professione. Richiede vocazione. Se quella vocazione non c’è è inutile provarci. Vocazione al giornalismo vuol dire voglia e capacità di entrare nella vita degli altri per raccontarli cogliendoli in tutte le posture, quelle gradevoli e quelle inquietanti, innocue o criminose, normali o devianti. Vocazione a invadere la vita degli altri a cominciare da quelli che esercitano un potere. Perciò il giornalismo è anche un contropotere e come tale detiene un immenso potere di controllo. Professione crudele, il giornalismo. (E. Scalfari, L’uomo che non credeva in Dio).
THE POST di Steven Spielberg. Il film con 6 candidature al Golden Globe e due Oscar è ispirato ad una storia vera.
I fatti narrati risalgono al 1971 quando il New York Times fu impedito nella pubblicazione di documenti top secret di Pentagon papers con la minaccia di ricorrere alla Corte Suprema. I documenti riguardavano la guerra nel Vietnam. Katherine Graham, editrice del Washington Post decide di sfidare la Corte Suprema e trova il coraggio di pubblicare quei documenti sulla propria testata giornalistica.
Costretta a decidere tra la vita del suo giornale, il futuro dei suoi dipendenti e la libertà di stampa e l’amore della verità, sceglie a favore di quest’ultime. Successivamente la Corte Suprema si esprimerà a suo favore perché, come da sentenza, “la stampa non è destinata a servire chi governa, bensì quelli che sono governati”. Quei documenti svelavano decenni di politica americana fallimentare in Vietnam e sconfessavano tutto quanto era stato raccontato al popolo, svelavano errori, fallimenti, assassini, violazioni della Convenzione di Ginevra, elezioni truccate e tutte le bugie raccontate agli Americani. Conseguenza delle pubblicazioni fu lo scandalo di whatergate che costrinse R. Nixon alle dimissioni. Solo Obama consentì ufficialmente la pubblicazione dei Pentagon papers.
In tutte le citazioni appare evidente il valore dell’informazione. La stampa e tutti i mezzi di comunicazione, in particolare un servizio pubblico come la RAI, hanno grandi responsabilità sullo stato di benessere culturale di un popolo e, di conseguenza, sulla tenuta della democrazia.
La poca considerazione data alla formazione accademica e alle professionalità di esperti e le dimostrazioni emotive e disordinate del popolo dei like sono la dimostrazione più evidente di quanto si stia degenerando in inconsapevole ignoranza ed eccitato irrazionalismo.
Eppure è evidente a tutti che non ci possa essere democrazia autentica se non c’è consapevolezza e cultura e non c’è consapevolezza e cultura senza un’adeguata informazione, corretta, libera e aperta al confronto sulla verità. L’informazione, quindi, non può essere altro rispetto alla cultura, ne è il fondamento. Non è sufficiente, come a buon ragione afferma G. Sodano, ritagliare degli spazi da dedicare a particolari settori della cultura perché questa deve essere “trasversale” in ogni aspetto dell’informazione ed essere in grado di stimolare approfondimento, riflessione e pensiero critico, di garantire libertà di giudizio, di favorire il pensiero divergente ed evitare ogni tipo di condizionamento subdolo.
Non é questione solo di fornire notizie culturali o di cronaca, il compito dell’informazione è ben più difficile: è quello di allenare la mente a pensare. Questo diventa possibile solo se si abbandona la preoccupazione, ultimamente divenuta prioritaria, dell’audience, per privilegiare invece un impegno etico capace di formare coscienze libere per una collettività matura e riflessiva. Un giornalismo che sia comunicazione seria dovrebbe stabilire relazioni tra un fatto e l’altro, garantire correttezza e tendere alla completezza. Dovrebbe imporsi una sorta di diktat: non solo informare ma analizzare, ricercare, confrontare, riflettere e far riflettere, dovrebbe interagire con le informazioni ma soprattutto non trattare i lettori e/o gli spettatori come esche ma considerarli soggetti pensanti e lucidi. Solo questo tipo di informazione è utile per la crescita culturale e democratica della società, contribuisce al pensiero riflessivo e smuove gli INDIFFERENTI di gramsciana memoria, tutto il resto è spazzatura e pubblicità.
Oggi come i fatti dell’ultima ora ci dimostrano, non sembra prioritaria la VERITÀ, si insegue ciò che appare più conveniente e non più convincente, non si cerca di capire, di comprendere. Ma una società per crescere e prosperare ha bisogno di consapevolezza e quindi di cultura. La cultura, come dice Gherardo Colombo, viene prima delle regole e la cultura ha necessità di una informazione capace di mettere in gioco tutte le dinamiche capaci di far tendere sempre verso l’approfondimento, di non far accettare scorciatoie di convenienza ma è indispensabile che porti tutti ad impegnarsi responsabilmente senza alcuna deroga e soprattutto senza alcuna delega.