Apollo e Dafne (Ovidio, Metamorfosi, libro I). “Fer pater… opem… qua nimium placui mutando figuram!”. “Aiutami padre cambia questa forma per cui io piacqui troppo”. Sono questi i versi più struggenti del mito di Apollo e Dafne, raccontato da Ovidio nelle sue Metamorfosi.
Dafne chiede disperatamente aiuto al padre, è disposta a scomparire, a sprofondare nel nulla pur di sfuggire alle pretese d’amore di Apollo che la insegue ostinato e non è disposto ad accettare il suo rifiuto. “È l’amore il motivo del mio inseguimento” (Amor est mihi causa sequendi) le grida cercando affannosamente di raggiungerla. Ma il suo è un amore egoistico che pretende di possedere a tutti i costi, un amore non amore perché non rispettoso dei desideri e dei bisogni altrui. Dafne non cede alle lusinghe e continua la sua corsa forsennata.
“Attenta puoi farti male!”, ammonisce il Dio, quasi a significare “te lo dico per il tuo bene” e aggiunge mellifluo: “Non sai, pazza, chi stai fuggendo” (Nescis, temeraria, quem fugias) che è la versione di: non sai chi sono io.
Le tappe della violenza psicologica ci sono tutte, comunque Dafne non ferma la corsa che, invece, accresce la sua bellezza e la sua sensualità: il vento le scompiglia i capelli e le vesti, lasciando intravedere le belle forme del suo corpo. Oggi qualcuno obietterebbe: non doveva vestire in quel modo, non doveva provocare…
Intanto il padre Peneo esaudisce la preghiera della figlia e la trasforma in pianta d’alloro. Ma anche quando la bellissima Ninfa ha perduto la figura umana ed è quasi un tronco il Dio non si arrende: “Se non posso averti come sposa sarai il “mio “ albero e prima che la metamorfosi sia completa riesce a toccare il suo corpo, a sentire il palpito del suo cuore e a baciarla: Dafne in qualunque forma deve essere “sua”.
La Ninfa sente quelle mani che la stanno violando, quella bocca che non avrebbe mai voluto avvertire e annichilisce, si blocca nella fissità e durezza di una corteccia: la violenza si è consumata; Apollo non è altro che la quintessenza della parte peggiore del maschio.
Ma Ovidio, purtroppo, è dalla sua parte e immagina che, al decreto che l’alloro sarà sacro alla divinità apollinea, le fronde siano scosse da un fremito e in quel fremito pensa ad un assenso: il poeta vuole che Dafne accondiscenda, dica comunque Si, ignorando il dramma che lui stesso ha costruito e descritto.
Ma il racconto allude ad altro ancora perché propone uno stereotipo noto e stratificato nel tempo: la corsa dei due protagonisti è paragonata a quella di un levriero celtico e di una timida lepre, a quella di un cacciatore e di una preda.
E questo ordine ancora resta immutato nel rapporto tra l’uomo cacciatore e la donna preda ed è proprio quest’ordine alla base del patriarcato e cioè di una sorta di primato ontologico che il maschio rivendica per sè e che trasforma il rapporto d’amore in un rapporto di potere.
La libertà della donna non è accettata perché ingovernabile, non resta che annichilirla. Tale visione è radicata dai primordi dell’umanità, appartiene al nostro substrato culturale e alimenta gli istinti più bassi.
Il potere dell’uomo è naturale, esiste, è dovuto, non è discutibile e se anche le donne di potere chiedono di essere indicate con titoli al maschile è segno che tale ordine non è stato ancora messo in discussione a dispetto di tutte le discutibili teorie sugli immigrati.
Ed è proprio il Presidente donna, mi piange il cuore a doverlo ammettere, a testimoniare un atto di sottomissione e di accettazione del maschilismo imperante perché, presumibilmente, “la” Presidente rappresenterebbe un depotenziamento della carica.
Il dominio del maschio vive in questo brodo culturale rancio e finché ci sarà un Presidente donna a capo di un governo e un Tycoon condannato per violenza a guidare gli USA e le sorti del mondo ci sarà poco da da sperare.
E poi forse in Italia non si legifera in un’aula parlamentare in cui troneggia un dipinto che raffigura “Il ratto delle Sabine” , uno stupro collettivo di guerra? Altro che educazione sessuale e sentimentale occorrerebbe rivedere tutto e capovolgere il mondo intero.