La Sindaca di Roma, prima donna a osare tanto nella città del Papa, ci lascia dopo una inutile battaglia elettorale, abbandonata da tutti, dai romani innanzitutto, dai suoi compagni del movimento, dalla sua sciagurata giunta ed anche dal destino.
Col primo turno delle elezioni comunali si chiude, ovviamente senza rimpianti, un quinquennio di delusioni, certamente il meno felice della storia democratica repubblicana della città, che era iniziata tra grida di entusiasmo e di vittoria per la rivincita di chi credeva di averne diritto, di chi voleva vendette contro tutto e tutti, di chi confondeva il proprio cattivo destino con le responsabilità del sistema.
In quella primavera del 2016 molti credettero davvero che “uno vale uno” e che quel nuovo assioma fosse bene interpretato dalla giovane sconosciuta avvocatessa di periferia catapultata sul Campidoglio dal ribellismo e dal populismo.
È finita a processi, dimissioni, disgrazie di ogni genere, devastazione della città, buche stradali di ogni dimensione e profondità, cumuli di immondizia sulle strade e nelle piazze, al centro ed in periferia, sino alla ardente chiusura della sera precedente il voto con il rogo di 30 autobus e quello inimmaginabile ed incredibile del secolare ponte di ferro sul Tevere.
Virginia, povera Virginia, oltretutto senza fortuna! È stata massacrata due volte: la prima nel 2016 da Grillo che l’ha candidata a quello che non poteva fare da sola senza esperienza, senza partito, senza amici, senza solidarietà politiche. La seconda da Conte che l’ha sostenuta a ricandidarsi in questo 2021 quando la forza propulsiva del Movimento si era spenta ed i consensi in città si erano liquefatti.
Ora il genio italico o meglio il sarcasmo romano la rappresentata sul Web mentre se ne va trascinando una grossa valigia certamente piena di delusioni, attacchi giornalistici all’arma bianca, insulti del popolo e quanto altro di negativo aveva raccolto nel suo inatteso mandato. Tornerà a fare l’avvocato e la mamma, che non è poca cosa, e Roma cercherà di risalire la china.
Questa storia ha una morale o almeno un insegnamento: già è difficile rappresentare interessi collettivi nel condominio, nella cooperativa, al circolo del tennis, nei piccoli comuni dove comunque ci vuole pazienza, competenza, entusiasmo e simpatia, ma fare il Sindaco in una grande città non è mestiere per tutti: ci vuole competenza, coraggio, sostegno, onestà, popolarità, carisma, struttura organizzativa diffusa sul territorio, eccetera, non basta una sola o poche virtù.
Insomma, ripetiamolo insieme, non è mestiere per tutti fare il Sindaco di Roma.
Addio Virginia, nella gran corsa del Campidoglio, Olimpiade della politica, sei rimasta fuori dal podio, medaglia di legno! Buona Fortuna.