Sono i giorni del codiv19, giorni in cui con le nostre fragili certezze e la nostra paura restiamo al chiuso nel nostro piccolo ma rassicurante mondo domestico. Chi avrebbe potuto sospettare, appena qualche settimana fa, che il nostro confine sarebbe stato la porta d’ingresso della nostra abitazione, un confine così angusto da diventare claustrofobico. Eppure appena qualche giorno fa sdraiati comodamente sul nostro divano restavamo insensibili al dolore estremo dell’umanità naufraga, ci sentivamo sicuri e comodi nel calore domestico del nostro egoismo. Chiusi nelle nostre stanze ci avvertivamo fortunati ed eravamo incuranti del “fuori”.
Ognuno doveva rimanere a casa propria e anche se pure si volgeva lo sguardo verso l’altro in difficoltà l’aiuto doveva avvenire a casa loro: “aiutiamoli a casa loro“, questo lo slogan più comune. Includere, accogliere nei nostri confini era pericoloso, per questo si costruivano barricate psicologiche prima che fisiche contro l’inopportuno invasore del nostro territorio venuto a calpestare il nostro suolo patrio e domestico.
Il coronavirus non ci ha colti impreparati, quello che ritenevamo salutare fare ieri, oggi siamo costretti a fare per necessità: chiudere le porte di casa, ritirare le mani, escludere abbracci e baci dalla nostra vita che per questo non è diventata affatto più gradevole, più sicura, più bella. Al contrario, quel porto sicuro e rassicurante che era il nostro mondo domestico è diventato di colpo una prigione, essere costretti a restare chiusi nel nostro piccolo mondo per quanto confortati dai riscoperti affetti familiari ci rende prigionieri di un destino assurdo che non avevano immaginato né sospettato. La solitudine a cui il covid 19 ci costringe ci rende insofferenti e ha inaridito le nostre giornate. Abbiamo di colpo compreso il valore e la bellezza di una stretta di mano, la distanza dall’altro ci rende nostalgici di abbracci, di carezze. I nostri corpi si sono avvizziti nel vuoto esistenziale delle nostre giornate noiose e monotone, l’altro ci manca da morire.
Anche un virus può divenire un’opportunità
Chissà se in questi giorni interminabili di quarantena volontaria o forzata, di solitudine angosciosa passati a contare i numeri dei contagiati nel terrore di rientrare prima o poi in quel conteggio, servirà a sentirci uguali perché accomunati tutti da un’unica sorte, se servirà a percepire il soffocamento di ogni limite e di ogni confine, se servirà a farci apprezzare la bellezza degli scambi, degli incroci, dei ponti e, al contrario, l’oscenità dei muri, la brutalità delle barricate, l’infelicità della solitudine.
Chissà se si potrà ripetere col poeta:
“O cameretta che già fosti un porto a le gravi tempeste mie diurne, fonte sor di lacrime (…) e il vulgo a me nemico e odioso (chi ‘l pensò mai ?) per mio rifugio chero: tal paura ho di ritrovarmi solo“. ( dal Canzoniere di Petrarca , CCCXXXIV)
“Siamo tutti come noi“, cantavano i Pooh negli anni ’80. In realtà siamo tutti in viaggio con bauli pieni delle stesse cose: dolori, insoddisfazioni, amori, mancanze, necessità , solo in proporzioni diverse.
Chissà se capiremo che, ad aiutarci tutti, il baule peserà un po’ di meno e il viaggio potrà essere meno faticoso ma più ricco di esperienze e di tesori.
Se è vero che nulla capita per caso, forse il covid19 servirà proprio a farci apprezzare l’importanza e la bellezza del vivere insieme. E se Aristotele aveva ragione nel ritenere l’uomo un “essere politicon“, allora vivere con gli altri è connaturato alla natura umana stessa, mentre l ‘alienazione dovrebbe essere la negazione della sua natura che cerca, invece, affiliazione, condivisione, vicinanza, legami. L’individualismo sfrenato del nostro tempo è stato una malattia altrettanto nociva perché ha alterato la natura umana, ha generato egoismo, competitività, lotte che come boomerang hanno devastato la nostra esistenza in comune. Ora è tempo di considerare il vantaggio che offre lo stare insieme, in comunità, che è il nostro stare al mondo, la nostra normalità, il nostro quotidiano io, tu, noi, gli amici, gli affetti, la gente comune, tutti gli altri.
Due è sempre meglio di Uno, Tre è meglio di Due… Le separazioni e le distanze, dovrebbe ormai apparire chiaro, svuotano le nostre esistenze: nessuno si salverà senza il resto del mondo e il mondo non si salverà senza il contributo di ciascuno.
È questa la lezione che ci viene dal CORONAVIRUS.