Della nostra innegabile complessa realtà storico-politica, graniticamente avvinghiata alla filosofia del male, dell’opportunismo, della violenza si possono fare diagnosi quanto mai dotte e accademiche: per esempio si può parlare di crisi di valori, di conflitti tra ragione e fede, tra politica e propaganda, tra dogmatismo e critica, soprattutto tra autorità e libertà.
Si può parlare e scrivere di tutto questo e se ne parlerà e se ne è parlato sempre: non vi è dubbio che ognuno ha una sua personale analisi da proporre.
La storia, quindi, non è mai cambiata ed è inutile, sembrerebbe, alcun tipo di atteggiamento ottimistico e/o propositivo. A che vale, pertanto, darsi da fare?
Le rivoluzioni si esauriscono in un inutile bagno di sangue, ogni progetto politico si trasforma in propaganda, ogni forma di potere è espressione di interessi di pochi o di uno solo.
Le offese alla “Verità”, realizzate con falsificazioni di fatti o storture di ragionamenti, sembrano ormai ricondurre ad un’unica certezza: l’uomo politico di aristotelica memoria è incapace di agire per il bene. Pur tuttavia davvero l’unica cosa da fare è rassegnarsi e rinunciare all’impegno, rinunciare a partecipare, rinunciare ad esserci? Davvero non vale la pena neanche sperare in un mondo migliore, una politica sana, una cultura di pace?
Ebbene, la storia si fa anche nel profondo della coscienza umana in termini di lealtà, di ricerca della “Verità”, quella autentica che sa di esercizio di critica.
Essa ci insegna che molti individui, eroi, ma, principalmente, uomini comuni sono stati capaci, anche nelle età più oscure e nelle condizioni più dure, di trascendere i propri meschini interessi privati per subordinarli a quelli della società in quanto totalità.
Certo dissensi, discussioni, lotte amare, sconfitte sono inevitabili ma anche indispensabili perché si configurano come mezzi di attuazione delle condizioni necessarie al benessere, allo sviluppo e alla felicità degli uomini e dell’Umanità.
Ognuno deve convincersi che il proprio destino non è separato da quello dei propri simili e che nessuno può salvarsi senza il resto dell’umanità per cui la rinuncia ad intervenire, la rinuncia ad una scelta è IMMORALE ed ha come risultato quello di abbandonare il campo ai ciarlatani, agli imbroglioni, ad “altri”, insomma, significa non avere più neanche il diritto a lamentarsi.
Ci vuole, sicuramente, molto coraggio, integrità, sopportazione al probabile fallimento ma, soprattutto, capacità di rinunciare alla presunzione che gli altri abbiano torto solo perché la pensano diversamente da noi e che potrebbero essere loro i vincenti.
E poi, non c’è nulla da guadagnare a celare contraddizioni, asprezze, difficoltà. E’, piuttosto, necessario considerare i problemi senza attenuazioni, senza riduzioni ideologiche, nella realtà del campo dove sono nati e dove si sviluppano e le condizioni che li determinano.
Conseguentemente non si tratta di decidere a priori quale sia la soluzione ma è necessario che il problema sia radicalmente e concretamente vissuto in modo da porsi come problema umano, così che nella stessa azione concreta di lotte, di conquiste, di ribellioni si sviluppino i motivi e le energie morali per compiere una scelta e ipotizzare un progetto di benessere / felicità.
Né si può affermare che la felicità non esiste come se si enunciasse una profonda verità. Il pessimismo, si sa, si offre sempre a buon mercato per nascondere servilismi, ipocrisie, inattivismi ingiustificati e immorali.
La felicità, in realtà, è un’idea limite e può essere anche quella che si basa sull’impegno di un ethos, su una scelta di “stile”, è tendenza a sostituire l’aut-aut con lo spirito dell’et-et che implica il logos e che infrange la catena del silenzio, l’unico vero amico del male.
La rinuncia alla comoda politica della clausola, la disponibilità al sacrificio, la propensione verso gli altri, l’accettazione del “diverso” come ricchezza e valore sono l’unica via da scegliere per la propria e l’altrui felicità, l’unico vero impegno di vita.
La speranza è tutta riposta in un tratto di matita, in una scelta di sana democrazia.
Non rinunciateci, non rinunciate ad andare a votare, a scegliere un progetto di felicità, quello che più vi sta a cuore, nell’interesse vostro e di tutti, fosse solo il meno peggio!