Per noi ex-studenti del liceo classico questo strattonamento di Dante con sommovimenti di vestali e di parlamentari è una questione che va dritta sull’apparato vascolare.
Nei giorni scorsi ho alleggerito la tensione interiore con due brevi post in rete che qui riproduco nella mia rubrica. L’ultima volta che gli “avevo parlato” – c’era da immaginarselo – mi aveva ripetuto (lo fa con tutti) la diciassettesima terzina del III° canto dell’Inferno, dedicato agli ignavi: “Non ragioniamo di lor, ma guarda e passa”.
L’Arno tracima?
FB 29.3.2021
Da giorni non si parla d’altro. L’attacco tedesco a Dante.
Widmann, un giornalista-intellettuale che è stato parte della grande Zeit, allievo di Adorno e traduttore di Eco, avrebbe attaccato il “Sommo” come plagiatore, arrivista e sottomarca di Shakespeare. Si mobilitano media e istituzioni. Salvini e la Meloni guidano la crociata. Poi Saviano va a cercare al telefono per il Corriere il reprobo e si scopre che lui – con intatto spirito di ammirazione per Dante da una vita, secondo un modello culturale tedesco ben noto – non si è mai sognato di scrivere quelle sciocchezze e, persino, se la ride.
Travisato per diceria, per miserevole bisogno di nemici, senza neanche aver letto (ovviamente) l’articolo sul Frankfurter Rundshau. Stupefacente dettaglio, l’intellettuale fatto passare come nemico del fiorentin fuggiasco si chiama di nome Arno. Ci sarebbero cascati in tanti, ministro Franceschini compreso. Per ora si segnala il quiproquo (che assomiglia a cose già viste) ma in coscienza si proverà a cercare una traduzione corretta e completa prima di dire l’ultima parola.
Intanto però – in sintonia con la tradizione antagonista dell’Italia dantesca (guelfi bianchi e guelfi neri, eccetera) è un altro tedesco doc a contrastare Widmann, il direttore delle Gallerie degli Uffizi Eike Schmidt che, ad una radio fiorentina, definisce Widmann soltanto come “un provocatore e una voce isolata in Germania”. “Lui – afferma – sostiene che l’importanza di Dante sulla lingua italiana non sia stata così grande, perché i bambini a scuola avrebbero difficoltà a comprendere i suoi testi. Ma non è affatto così. La lingua di Dante è perfettamente intellegibile ancora oggi, diversamente da quanto accaduto con l’inglese o il tedesco del Trecento, che sono praticamente incomprensibili per gli inglesi e tedeschi odierni.”
I freddi di Oddi
FB 30.3.2021
Torno sull’alzata di scudi riguardante l’articolo sul 700° di Dante scritto da Arno Widmann (sottolineo ancora che il giornalista tedesco, allievo di Adorno e traduttore di Eco, è uno studioso di Dante e si chiama Arno di nome) sul quotidiano tedesco Frankfurter Rundshau che ha scatenato polemiche per lo più (ma non tutti) tra chi non ha letto l’articolo ma ha sentito dire altri che se ne avevano sentito dire da altri fino alla vibrante interrogazione leghista in Europarlamento.
Alla fine ho rintracciato il testo e ho utilizzato una traduzione. Mi sono tuttavia fatto l’opinione che anche se ci fosse stato solo un battito di ciglia qualcuno avrebbe gridato alla lesa maestà.
Dante è ben più dei Carabinieri. E’ vero che in molti casi lo si studia a scuola come estensione dell’ora di religione più che come parte di un inventario straordinario da sottoporre alla critica del tempo e dell’evoluzione interpretativa della letteratura. Ma è anche vero che la sua mitologia e la sua poetica hanno una statura che va anche un po’ protetta (alla fine questa resta la mia devota posizione da ex studente di liceo classico) da spinte demolitrici a volte fatte di puro protagonismo, per ciò che rappresenta un esempio di sostanziale modernità spartiacque tra il Medioevo e il Rinascimento. Per cui il settecentenario deve essere un’occasione prevalentemente di orgoglio e di conoscenza.
Segnalo però (martedì 30 marzo) la pagina che Piergiorgio Oddifreddi dedica sul quotidiano Domani alla vicenda. Oddifreddi si manifesta per la sua posizione scientifica antidogmatica e per lo più antireligiosa. Dunque potrebbe essere collocato in questo sguardo il suo intervento. Che invece resta sostanzialmente rispettoso circa l’enormità culturale del poeta. Ma segnala agli italiani che ci sono pagine di storia italiana e soprattutto di storia culturale italiana che muovono un tale numero di vestali da rendere difficile qualunque sguardo critico anche solo figlio del tempo che passa.
In questo caso il riferimento di Oddifreddi è al carattere datato, oggi ampiamente revisionato, dei tre pilastri dell’approccio culturale di Dante: “la filosofia di Aristotele, la scienza di Tolomeo e la teologia di Tommaso d’Aquino”. Revisione non vuol dire distruzione. Ma che consente all’autore di dire che “le sue idee sono figlie di un tempo che non è più il nostro tempo: dall’estero si vede facilmente, dall’interno no”.
Mi pare anche di capire che Widmann non dica nemmeno una parte di tutto ciò, se non constatare che i tre secoli che separano Dante da Shakespeare rivelano il tempo che passa rispetto ai postulati della conoscenza. E’ piuttosto il quotidiano stesso “Domani” a metterci un carico da quindici che forse eccede anche l’intenzione di Oddifreddi: “Dante non è poi così sommo”.
Ed è su questo che si riapriranno le danze, più che le interrogazioni dei leghisti che, come è noto, non leggono il Domani perché gli articoli sono troppo lunghi e abitualmente azzeccano i congiuntivi.
Per i settimanali (femminili e non) segnalo nell’articolo di Oddifreddi la lunga citazione del “Trattatello in laude di Dante” del Boccaccio (che aveva otto anni quando Dante è morto, ma che gli è comunque più ravvicinato di noi) da cui emerge un ritratto fisico del Poeta devastante.
Un mostriciattolo. Mamma mia.