Infuria la polemica sui fondi necessari per riavviare il sistema economico italiano messo in ginocchio dalla pandemia, cresce il malessere sociale per il le conseguenze della crisi ed i provvedimenti adottati (con i relativi errori) dal potere pubblico, il dibattito politico torna ad animarsi: quello che più colpisce è l’assoluta mancanza di idee, di progetti, di strategie da mettere in campo quando si tornerà ad una (relativa) normalità e sarà necessario ricostruire quel tessuto economico e sociale che è andato distrutto.
Non si tratta solo di quattrini di cui disporre ma anche, e forse soprattutto, di profittare dell’occasione per abbandonare vecchie strade, ad iniziare dall’assistenzialismo che molto costa e poco rende, dall’utilizzazione di un sistema burocratico capace più di bloccare che favorire la ripresa, di procedure inutili, complesse che scoraggiano gli investimenti nei diversi settori produttivi.
Sabino Cassese in una nota apparsa su Il Corriere della Sera del 9 Aprile scorso ha individuato i mali italiani in un legislatore che stabilisce nuove norme a getto continuo, sovrapponendole a quelle esistenti senza alcuna preoccupazione per le conseguenze che ne deriveranno, aggiungendo complicazioni a quelli già esistenti. Ad avviso di Cassese gli uomini politici hanno la loro parte di responsabilità, così come ce l’ha la burocrazia, spesso incapaci a far fronte ai compiti che gli vengono assegnati e le procure della Repubblica che aprono inchieste su comportamenti amministrativi ritenuti illegittimi senza poi concluderli o concludendoli solo dopo molto tempo, così da lasciar perdurare una situazione di incertezza che certo non giova alla funzionalità del sistema.
Si può essere o meno d’accordo sulla diagnosi impietosa di un giurista di lunga esperienza come Cassese: certo è che i 127 articoli del Decreto Legge recentemente emanato per fronteggiare le conseguenze anche economiche della pandemia sono un modello di sciatteria politica, di improvvisazione, di strampalate idee degne di “legisti” di bassa lega che avendo forse sentito parlare le loro compagne di calze autoreggenti si sono ripromessi, come qualcuno ha dichiarato, di voler rinnovare il sistema normativo con le leggi autoapplicanti.
Prima è stato il Prof. Giuseppe Conte ha stabilire con un proprio atto amministrativo regole limitative delle libertà personali, senza che esistesse a quel momento attributiva del relativo potere, poi sono ricomparsi i tentativi di mettere da parte le procedure amministrative in nome della immediata e diretta applicazione della legge: la conseguenza è stata, tanto per fare un solo esempio quella della crisi dei collegamenti informatici dell’INPS chiamate a dare applicazione alle norme per la corresponsione di 600 euro a qualche milione di persone, stabilite dal legislatore, senza la minima preoccupazione a proposito della concreta applicazione della norma.
Naturalmente c’è chi tenta di speculare su tutto questo: niente più divieti, niente più autorizzazioni, tutti liberi dai lacci burocratici anche quando si tratta di difendere beni fondamentali o di combattere associazioni criminali come la mafia, pronte a sostituirsi con proprie regole a quelle della Repubblica italiana, come ha sottolineato Raffaele Cantone, già responsabile dell’autorità anticorruzione, sullo stesso giornale.
Superare questo pericolo, stabilire nuove regole che non aumentino il caos legislativo ma stabiliscono nuove regole per l’azione pubblica, tagliando i rami inutili non è facile e tanto più è difficile se si hanno idee come quella di usare a modello le calze autoreggenti…