domenica 22 Dicembre 2024
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Covid: buone notizie e qualche dubbio

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Nell’ultima settimana sono stati ufficialmente registrati 3.139 casi positivi (meno di 500 giorno) pari all’1,3% dei 234.989 nuovi test effettuati. Sia l’andamento in calo del numero assoluto che quello del tasso di positività sembrano indicare che i due allentamenti del lockdown adottati il 4 e il 18 maggio non hanno prodotto una recrudescenza nell’epidemia. Indicazione confermata dal fatto che dal 24 al 31 maggio il numero degli ospedalizzati si è ulteriormente ridotto scendendo da 9.166 a 6.822.

Permangono, d’altra parte, elevatissime differenze regionali.  Da una parte ci sono regioni come Basilicata, Calabria, Sardegna, Umbria (con una popolazione complessiva di circa 5 milioni di abitanti) dove il flusso di nuovi positivi si è sostanzialmente azzerato (2 casi positivi complessivamente registrati nell’ultima settimana a fronte di 21.516 persone sottoposte a tampone con un tasso di positività dello 0,01%) e il numero di ospedalizzati si è ridotto da 129 a 79 unità (da 2,6 a 1,6 ogni 100.000 abitanti). Dall’altra regioni come Lombardia, Liguria e – in misura minore- Piemonte ed Emilia Romagna (dove risiede circa un terzo della popolazione italiana, 20 milioni di abitanti) nelle quali il flusso dei “nuovi positivi” (2.730 casi su 89.501 test) continua a non essere irrilevante e il “tasso di positività”  -benché in calo- rimane  decisamente più elevato (3,05% contro il 3,5% della settimana precedente).

Il primo dato, quello dell’andamento generale, suscita qualche interrogativo sulle politiche di contenimento seguite negli scorsi mesi; il secondo, le differenze regionali, sulle scelte effettuate negli ultimi giorni.

Sulla prima questione è, in effetti, abbastanza sorprendente che i due allentamenti del lockdown (4 e 18 maggio) non abbiano apparentemente prodotto alcun effetto sulle dinamiche di contagio che hanno, fortunatamente, continuato a indebolirsi nonostante il venir meno delle limitazioni generalizzate alle attività e ai movimenti. I virologi (che qualcuno pensa si chiamino così per la virulenza con cui si insultano tra loro) si accapigliano sulle possibili spiegazioni. Da non virologo sono tendenzialmente convinto che i fattori decisivi nel determinare l’andamento del contagio siano ad una parte le modalità con cui vengono gestite le situazioni ad alto rischio effettivo (in primo luogo ospedali e presidi socio-sanitari e socio-assistenziali) e le limitazioni di quelle ad alto rischio potenziale (concentrazioni ravvicinate di alto numero di persone al chiuso) e dall’altra la capacità di individuare e intervenire immediatamente sui nuovi focolai. Resto quindi dell’idea che se si fosse intervenuto in modo tempestivo e mirato su queste fattispecie (su moondo.info mi ero permesso di segnalare i rischi potenziali di RSA e case di cura già all’inizio del mese di marzo) avremmo potuto forse ottenere risultati analoghi senza gli elevatissimi costi economici e sociali della chiusura generalizzata delle attività economiche e del confinamento domestico (almeno nelle regioni a basso impatto).

Sulla seconda questione è difficile non rimanere perplessi di fronte alla recente decisione governativa di trattare con la stessa modalità e la stessa tempistica regioni dove si riscontra un positivo ogni 10.000 persone testate e regioni dove se ne riscontra uno ogni 30. Si tratta evidentemente di una decisione ispirata dal criterio del minor danno politico, comprensibile ma non condivisibile. Come dimostra l’esperienza coreana, che con buona pace degli sciocchi si conferma efficace ed efficiente anche nella gestione delle recrudescenze, la capacità di monitoraggio e la flessibilità e articolazione degli interventi sono strumenti essenziali per tenere sotto controllo l’epidemia, anche  a costo di far arrabbiare qualcuno.

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