Maurizio Primanni è fondatore e presidente del Gruppo Excellence, un gruppo di società specializzate nella consulenza manageriale, nella formazione e nell’innovazione digitale.
Sin dall’avvio della sua attività professionale nel 1998 prima in McKinsey & Company e poi dal 2007 con il Gruppo Excellence, ha lavorato con le principali realtà bancarie, assicurative e di gestione del risparmio in Italia ed in Europa, con una particolare attenzione al settore delle Banche Reti di consulenti finanziari. Ha eseguito progetti di strategia, organizzazione, marketing, commerciale, partnership e finanza aziendale. Ha pubblicato numerosi articoli su riviste specializzate nel settore delle istituzioni finanziarie e delle reti di consulenti finanziari.
Dal 2018 è anche Presidente dell’Associazione No profit “The Blockchain Council” per lo studio delle possibili applicazioni utili della tecnologia blockchain.
Dott. Primanni, covid-19 e l’impatto sugli operatori finanziari. Uno shock improvviso sui mercati. Cosa la preoccupa di più della situazione?
I mercati finanziari hanno al solito un andamento che anticipa quello dei mercati reali. Come si è capito che stavamo affrontando una fase di grande discontinuità i mercati finanziari hanno subito reagito in maniera scomposta, tuttavia adesso sono in ripresa e sembrerebbe che anticipino una pronta ripresa dell’economia. Purtroppo però ho paura che non sarà così. Se dalla crisi del 2008 siano usciti con sistemi finanziari profondamente ridisegnati, stavolta potremmo uscire da questa brutta esperienza con sistemi economici ed industriale profondamenti diversi. Ciò che mi preoccupa di più e che come paese Italia arriviamo a questa crisi con una posizione di grande debolezza, negli anni recenti infatti abbiamo perso competitività rispetto a tutti gli altri paesi EU.
La ripresa come la vede o, meglio, come se la immagina. Cosa cambierà secondo lei?
Il Gruppo Excellence ha un ufficio anche in Cina. Questo ci ha dato la possibilità di realizzare una ricerca su cosa è successo durante e dopo la pandemia, in modo da poter anticipare cosa probabilmente accadrà anche in Europa e in Italia. Quella che affronteremo sarà al contempo una crisi di offerta e di domanda. Parlando di offerta le filiere produttive dei settori chiave che a seguito della globalizzazione si sono sviluppate travalicando i confini nazionali saranno probabilmente ridisegnate; sarà importante che le nostre imprese non perdono quote di mercato rispetto ai competitor di altri paesi. Riguardo alla domanda cambieranno significativamente i comportamenti d’acquisto con alcuni settori che usciranno molto indeboliti dalla crisi sanitaria, in generale tutti i settori legati al turismo e all’intrattenimento vedranno un calo significativo dei volumi e ci vorrà tempo prima che si riprendano. Purtroppo al problema imminente della liquidità per questi settori farà seguito un problema grande di revisione del modo di fare business; lo Stato non potrà finanziare la ripresa troppo a lungo.
Se dovesse suggerire tre priorità al mondo bancario, al management, alle reti?
Le Banche stavolta non sono la causa del problema, ma rischiano di essere risucchiate dalle difficoltà delle aziende. Devono accelerare nel percorso che era stato già avviato di ridisegno del loro modello di business per cercare nuove fonti di ricavo. C’era già infatti un problema di ricavi che con il lock down si amplificherà: le banche perderanno molta parte dei ricavi legati alla transazionalità. Ma avranno anche la possibilità di trova nuove fonti di ricavo, ad esempio nel credito al consumo o nel credito alle aziende contro-garantito dallo Stato o dalla ricchezza finanziaria degli imprenditori.
Il management delle aziende dovrà impegnarsi anch’esso ad evolvere i modelli di business. La crisi sanitaria riporta all’attenzione della società il problema della salute. Per il futuro sarà necessario che i modelli di gestione delle aziende siano guidati oltre che da obiettivi di performance economiche, anche dalla ricerca della salute dell’organizzazione aziendale. La salute dell’organizzazione dipende da vari fattori: l’ambiente di lavoro, la motivazione del personale, le competenze, i percorsi di sviluppo professionale, l’orientamento all’innovazione e all’apprendimento continuo, la capacità di lavorare in team, i sistemi di rewarding, la capacità di mettere a terra le strategie. Dopo la crisi sarà ancora più evidente che le aziende più in salute generano prodotti di migliore qualità e producono più valore per tutti gli stakeholder.
Le reti in generale dovranno diventare più digitali. I clienti apprezzeranno sempre di più la capacità di avere informazioni, di potere selezionare prodotti, di potere avere proposte di consulenza stando a casa. Per questo serviranno nuovi strumenti digitali, consulenti prepararti a relazionarsi con i clienti a distanza, aziende capaci di comunicare con i clienti direttamente sfruttando i canali digitali.
Che lezione dovremo trarne da questo evento di portata epocale. Corretto paragonarlo ad una guerra dagli esiti ancora tutti incerti?
Da più parti da ultimo è stato proposto il paragone con la Seconda Guerra Mondiale. Credo che il paragone sia utile sono per rappresentare la dimensione del cambiamento che probabilmente sarà rilevante, ma il dopo sarà diverso. Da una guerra si esce tipicamente con paesi in macerie. In questo caso avremo probabilmente minori esigenze di ricostruzione fisica e dovremo lavorare invece in termini di evoluzione dei modelli di business pre-esistenti. Certo ci sarebbe un gran bisogno di un piano di evoluzione di tutto il sistema industriale e finanziario europeo teso a perseguire oltre che la crescita del PIL anche il miglioramento delle condizioni di salute sociale dei paesi, ovvero più rispetto per la natura, più premio per il merito, più ricerca e sviluppo, più equilibrio tra economia e finanza, meno complessità degli apparati pubblici. Ma questo è un piano che potrebbe essere realizzato solo da una classe politica europea che al momento mi sembra lontana dal palesarsi.
Il comparto economico finanziario, nelle passate crisi, è stato spesso causa e concausa dei problemi. Oggi è sufficiente dire: noi questa volta non abbiamo alcuna responsabilità su quando sta accadendo?
Purtroppo no. Come sempre, oltre lo Stato (che in Italia tra l’altro come stiamo vedendo ha le armi spuntate) saranno gli imprenditori a guidare la ricostruzione. Per la ricostruzione del paese sarà necessario puntare su investimenti pubblici ma soprattutto privati, su imprenditori determinati e ambiziosi e su banche che accettino di assumersi qualche rischio in più rispetto al passato per accompagnarli. Fare impresa infatti significa di norma assumersi dei rischi e gli imprenditori e manager che saranno ricordati nel futuro saranno quelli che oggi sapranno rischiare in modo profittevole. Si può fare e si dovrà fare, magari prendendo spunto da quanto medici e personale sanitario stanno facendo negli ospedali in queste settimane mettendo a rischio la loro vita.