martedì 5 Novembre 2024
Long-formDalla Peste bubbonica al Coronavirus

Dalla Peste bubbonica al Coronavirus

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   Non vorrei scrivere né di Virginia Raggi né del Coronavirus perché se n’è scritto troppo è senza risultato ed io con gli altri. Entrambi continuano indifferenti il loro percorso provocando i ben noti danni. È tuttavia quasi impossibile astenersi. Forse si può fare a meno di analizzare i guasti della Raggi sulla città perché durano da molto tempo e, come con tutti i mali, alla lunga ci si abitua! Astenersi da commentare il Coronavirus è oggi più difficile perché siamo nel pieno della bufera sanitaria-politico-mediatica ed anche i bambini hanno imparato la parola virus, pur senza capire cosa sia esattamente, ma già convinti che riguarda il mondo dei diavoli e delle streghe. Povera Roma nostra è passata da un maleficio ad un altro! Ma mentre alla pestilenza eravamo storicamente abituati alla Raggi e ai 5 stelle no.

      Peste e colera ed anche il tifo ed altro l’hanno fatta da padroni per secoli nel mondo, come anche in Italia e a Roma. Già nella Bibbia si parla di “peste dolorosa”, poi Tucidide ha raccontato l’epidemia che determinò la sconfitta di Atene contro Sparta nella guerra del Peloponneso nel 431 avanti Cristo. Nel 292 sempre avanti Cristo ci fu la peste a Roma tanto grave che fu mandata una nave all’oracolo di Delfi per riportare indicazioni per la guarigione. La nave tornando risalì il Tevere e si fermò all’isola Tiberina dove un serpentello che era salito sulla nave in Grecia scese a terra indicando ai Romani il luogo della cura. In realtà gli appestati furono confinati sull’isola Tiberina probabilmente più per morire che per guarire. Molti secoli più tardi nel 451 dopo Cristo durante l’impero di Giustiniano lo stesso morbo fece infinite vittime nell’impero Romano d’oriente.

peste
pixabay.com

  Se arriviamo al XIV secolo incontriamo nel 1340 la terribile “peste nera” che probabilmente fece 20 milioni di morti pari a circa il 50% dalla popolazione europea dell’epoca. La pestilenza era probabilmente originata in Mongolia qualche anno prima di giungere in Italia attraverso il porto di Messina per poi risalire tutta la penisola. Più nota è certamente la peste di Milano del 1630 raccontata dal Manzoni nei “Promessi sposi” all’epoca del cardinale Federico Borromeo, che fece tra Lombardia, Veneto, Piemonte, Toscana e Svizzera più di 1 milione di morti. Era stata preceduta mezzo secolo prima dalla peste di Venezia con 50.000 morti ossia circa 1/3 della popolazione di quella città e che poi si era diffusa a Milano dove fu chiamata la peste di San Carlo perché l’epidemia provocò la fuga dalla città di tutti i maggiorenti, compreso il Governatore spagnolo Antonio de Guzman. In città rimase solo il Vescovo Cardinale Carlo Borromeo. parente più anziano di Federico, che assistette gli infermi guadagnandosi la santità. La strage fu notevole perché in quegli anni Milano era invasa da pellegrini penitenti richiamati in città dal giubileo che il cardinale Borromeo aveva ottenuto dal Papa che fosse esteso a Milano da Roma.

    Il bacillo della peste ha avuto un correo-concorrente nel vibrione del colera che giunse in Europa dall’India con lo sviluppo dei commerci marittimi del 1800. Quel secolo a partire dal 1835 fu travolto da sette pandemie di colera sei delle quali giunsero in Italia, ma quel secolo fu anche il secolo di grandi scoperte mediche con il riconoscimento dei microbi come causa delle malattie e delle epidemie e conseguentemente l’individuazione dei sistemi di cura, dai vaccini alla prevenzione, che portarono di fatto all’estinzione di questa patologia.  Le vittime a più riprese furono molte, ad esempio la terza epidemia del 1865 produsse in tre anni 160.000 morti. Un’ultima epidemia di colera ci fu nel XX secolo partendo da Napoli nel 1973 ed estendendosi al sud Italia, con 278 casi accertati e 24 decessi.

    Ma poiché la storia del mondo non può procedere senza guai, ossia senza guerre e pestilenze, con il XX secolo, essendo quasi scomparsi i microbi epidemici, sono arrivati i virus con una prima sortita spaventosa quale fu l’influenza” spagnola.”. Eccolo dunque un primo dannato virus. Siamo nel 1918, la grande guerra è appena finita, la popolazione in tutta l’Europa è stremata e affamata, nelle trincee i soldati avevano patito tutti gli stenti possibili, la fame, il freddo, le infezioni, le ferite ed erano diventati terreno utile al virus. Si chiamò “spagnola”, ma non veniva dalla Spagna; il nome derivava dal fatto che i giornali spagnoli a quell’epoca ne parlarono per primi perché potevano pubblicare anche cattive notizie non essendo quel Paese coinvolto nella guerra. Ma il virus veniva da più lontano, forse dagli Stati Uniti, forse dalla Cina o da qualche altro Paese dell’Oriente. Certo è che a marzo del 1918 in una base americana militare in Kansas si ammalò un cuoco e dopo pochi giorni lo seguirono più di 500 soldati. Il virus correva veloce e dopo sette giorni per misteriosi canali era già arrivato a New York o meglio nel distretto di Queens! Poche settimane dopo comparve e si diffuse rapidamente in una base militare in Francia. Di seguito quasi nessun angolo del mondo fu risparmiato coinvolgendo col contagio 500 milioni di abitanti in tutti i continenti e provocando una strage che in due anni fu calcolata tra i 50 e i 100 milioni di vittime. Più di quanto aveva provocato la Peste nera in tutto il XIV secolo e più di quanto ne farà l’AIDS 80 anni più tardi, in 25 anni.

    Lo stesso virus influenzale, mutatis mutandis, si è ripresentato prima nel 1957 come influenza “asiatica” e poi nel 1968 come influenza di Hong Kong, nonché altre volte in forme lievi nel’ 47, ‘76,’78. L’asiatica da sola fece 2 milioni di morti in tutto il mondo nel triennio 57-60. la Hong Kong 10 anni dopo ne fece poco meno di 1 milione ed in Italia circa 20.000.

    Nel 2003 è cambiato virus: ne è comparso uno della serie “corona”, come l’attuale, provocando la SAARS. Ma con il XXI secolo le organizzazioni sanitarie erano pronte ed il morbo fu stroncato in tre mesi, dopo avere provocato poco meno di 1000 morti, quasi tutti anziani, compreso il medico italiano che aveva individuato il morbo allertando l’Organizzazione Mondiale di Sanità.

  Infine eccoci al 2020 ed al nostro attuale Coronavirus venuto dalla Cina, dalla città di Wuhan, posta in stato d’assedio per circoscrivere il focolaio, operazione riuscita solo in parte perché se le misure rigide adottate hanno quasi estinto l’epicentro dell’epidemia, non sono riuscite ad evitarne la diffusione globale pandemica.

    La storia è storia, giudicatela come volete, ma la cronaca è amara. Per l’epidemia del Coronavirus siamo diventati il terzo Paese al mondo per numero di contagi, dopo Cina e Corea, Paesi limitrofi e partners in Oriente. L’Italia è risultata prima in Europa: perché?  Forse perché offriamo condizioni favorevoli alla diffusione del contagio, giacché anche per gli orientali siamo la meta turistica più ambita al mondo, o perché siamo un popolo di viaggiatori che con l’oriente, Marco Polo docet, abbiamo avuto sempre un grande tropismo, o perché abbiamo un grande Servizio Sanitario Nazionale che alle prime avvisaglie ha drizzato le orecchie frugando dappertutto alla ricerca delle vittime e dei colpevoli, ed ha dispiegato la propria straordinaria forza.

    Se nella circostanza abbiamo fatto troppo o troppo poco lo diranno il tempo ed i risultati. Certo che tra Governo e governati, tra operatori della salute e cittadini sani e malati, l’impegno anche con la quarantena obbligatoria per tutta la popolazione, è stato massimo ed i risultati negativi al momento sono molto contenuti, specie se guardiamo indietro per raffronto a quello che provocò la “asiatica” nel nostro Paese, anche senza arrivare alle catastrofi della “spagnola” o della “peste nera”.

    E che dire dell’attuale diverso comportamento degli anglosassoni che all’inizio ci avevano sbarrato il passo definendoci poveri untori da emarginare? Bene, anzi male, oggi si stanno leccando le ferite, hanno capito che gli untori sono anche tra di loro, che l’epidemia ossia la pandemia non risparmierà nessuno, e corrono ai ripari sperando che non sia troppo tardi per esempio per chiudere le scuole in Inghilterra o per organizzare un vero Servizio sanitario pubblico negli Stati Uniti, altro che revoca dell’Obamacare!






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