Di Maio, il crollo del ponte e la scatoletta di tonno
Caro Direttore,
i tragici eventi di Genova mi portano a scriverle, anche in un periodo che avrebbe dovuto essere di riposo, per alcune considerazioni non tanto sul crollo del ponte, quanto sulle successive dichiarazioni di Di Maio, Salvini e del Premier Conte.
Mario Pacelli
Che il ponte costruito su progetto di Riccardo Morandi a Genova nel 1967, 51 anni fa, in base ad un brevetto registrato dallo stesso progettista, non potesse avere ancora lunga vita era opinione largamente diffusa, suffragata da inconfutabili elementi di fatto (debolezza degli stralli di sostegno in cemento armato, carenze nelle tecniche di realizzazione dell’opera, deterioramento del piano stradale e dei pilastri di sostegno e via dicendo).
La società autostrade, a quel tempo appartenente al gruppo IRI, fece gran chiasso sulla realizzazione dell’opera, a suo tempo quasi avveniristica, ma ci si rese conto già una ventina di anni dopo che il nuovo ponte era un colosso dai piedi d’argilla: furono spesi soldi per sostituire gli stralli originali con altri di ferro, per rattoppare il cemento che si sgretolava, per bilanciare il piano stradale, ma alla fine ci si rese conto che si trattava solo di palliativi: fu progettata allora una variante di fondo valle (la cosiddetta “Gronda Bassa”), ma il progetto non fu approvato. Fu ipotizzata allora una diversa variante (la “Gronda Alta”) alle pendici della montagna retrostante. Entrambi i progetti avrebbero richiesto la demolizione di un gruppo di case: da qui la costituzione di un comitato “No Gronda”, contrario alla realizzazione sia dell’uno che dell’altro progetto, in quanto avrebbe costretto gli abitanti delle case da demolire a traslocare altrove.
No TAV, no TAP, No Gronda: il panorama complessivo divenne dunque quello di gruppi cittadini che si opponevano alla realizzazione di opere che venivano invece ritenute necessarie, nei primi due casi anche in base a trattati internazionali. Il Movimento 5 Stelle decise subito, in nome della democrazia diretta e telematica, di dare massimo spazio alle proteste dei comitati del NO. Per i No Gronda scese in campo persino Beppe Grillo che dal suo Blog scagliò violente invettive contro coloro che erano a favore dell’opera. Un comunicato del comitato No Gronda fu pubblicato su un Blog del Movimento 5 Stelle (anche se Di Maio sottolinea che non si trattava di quello ufficiale).
La società Autostrade, che avrebbe dovuto finanziare e realizzare la nuova infrastruttura bloccò l’iniziativa, probabilmente in quanto non gli sembrò valesse la pena trovarsi di fronte ad una nuova situazione conflittuale come quella del No Tav. Il Governo ebbe probabilmente la stessa preoccupazione, insieme con quella di non lasciare troppo spazio ai “Grillini”: il meccanismo decisionale si bloccò. Fu apparentemente una vittoria della democrazia diretta e telematica, tanto cara a Di Maio e compagni, ed una sconfitta di quella rappresentativa, rea di voler cacciare dalle loro case un gruppo di cittadini per voler realizzare un’opera pubblica: la scatoletta di tonno fu così svuotata.
La Gronda non è stata realizzata, il ponte è crollato, una quarantina di persone sono morte: sarebbe sciacallaggio farne risalire la responsabilità ai pentastellati, una responsabilità da ripartire equamente tra i diversi governi succedutisi nel tempo, che non hanno dato alla questione l’importanza che avrebbe avuto. Così come un contributo negativo alla soluzione del problema è venuto anche dalla illusione che occorresse, nella valutazione dell’opera, tener conto più dell’interesse di un gruppo ristretto di cittadini che di un più generale interesse pubblico.
Di Maio si è reso conto di tutto ciò e della minaccia che ne conseguiva al modello di democrazia propugnato dal Movimento di cui è il capo politico, ed al termine del Consiglio dei Ministri del 15 agosto, per distogliere l’attenzione dal problema, ha tuonato contro la Società Autostrade preannunciando una revoca della concessione delle Autostrade, impossibile previa un accertamento delle responsabilità e con il rischio di pagare, in caso di errore, parecchie decine di milioni di euro. Al termine dello stesso Consiglio dei Ministri, il Presidente, l’ormai celebre avvocato del Popolo, ha spiegato (lui professore universitario di diritto) che non si possono attendere i risultati delle inchieste giudiziarie. Quale differenza esiste ancora tra certe dichiarazioni al telegiornale e la sceneggiata napoletana?
Direttore Sodano
Caro prof. Pacelli,
che vuole che le dica, in questo momento in cui si dovrebbe udire solo il silenzio per rispetto dei morti, dobbiamo sopportare, oltre allo strazio, anche questo ulteriore scempio.