Domani 10 dicembre 2019 si terrà la terza edizione del Digital Day, appuntamento annuale organizzato da Moondo e CuDriEc, quest’anno in collaborazione con Gruppo Bancario Cooperativo ICCREA e Ventis, un evento che appassiona i partecipanti proponendo contenuti ed approfondimenti sull’evoluzione digitale del mercato. Focus puntato su imprese di comunicazione e finanza, discuteremo del processo di digitalizzazione degli istituti di credito e del nuovo ecosistema digitale che si va originando, del nuovo modo di comunicare (ed interagire) “al” e “con” il cliente: dall’implementazione di sistemi complessi, automatici e fruibili da remoto, alla ricerca di una governance coordinata. La partecipazione è su invito ma tutti i lavori saranno pubblicati e fruibili dalle pagine di Moondo.
Come anticipazione alle relazioni di domani, ai lavori ed alla discussione che ne seguirà, pubblichiamo questa intervista che ci ha concesso l’on. Luigi Marattin, eletto alla Camera dei deputati, nelle liste del Partito Democratico, capogruppo nella V Commissione permanente (Bilancio), dal 19 settembre 2019 nel gruppo parlamentare Italia Viva con Matteo Renzi.
Il 29 ottobre lei ha “twittato” – Da oggi al lavoro per una legge che obblighi chiunque apra un profilo social a farlo con un valido documento d’identità – Scatenando le ire di Riccardo Luna (su laRepubblica NdR), da cosa nasce questa idea e perché secondo lei un “addetto ai lavori” come Luna le ha risposto in modo così “piccato”?
Da tempo mi pongo un semplice quesito a cui nessuno – neanche coloro che hanno reagito così sguaiatamente – riesce a dare risposta: per secoli il dibattito pubblico e’ avvenuto solo nei luoghi fisici e sulla stampa e negli ultimi decenni anche in radio e televisione. Vi posso partecipare mettendoci la faccia oppure – per motivate esigenze – occultando la mia identità: posso essere ospite ad un dibattito tv chiedendo di occultare il volto, o posso scrivere una lettera ad un giornale con uno pseudonimo. La condizione e’ che le redazioni conoscano la mia vera identità’, in modo che se necessario possa essere chiamato a rispondere di ciò che dico. La mia domanda è semplice: a che punto della storia – e per quale motivo esattamente – abbiamo deciso che sul web tutto questo non debba valere, e che esso sia invece un luogo in cui sia possibile sostenere qualsiasi cosa senza mai prendermene la responsabilità? Mi dicono che sia perché solo questa è la libertà. Ma allora, oltre a domandarmi se prima dell’invenzione di internet vivessimo tutti in dittatura, devo veramente aver frainteso cosa sia la libertà: per me fa rima con partecipazione e responsabilità, non certo con anonimato.
Le persone che hanno reagito a questa mia proposta si dividono in due gruppi: coloro che hanno dubbi sulla fattibilità tecnica e coloro che sono terrorizzati dalla diminuzione del traffico internet (e quindi del denaro che gira) connesso all’abolizione dell’anonimato. Non so in quale dei due gruppi ciascuno si iscriva.
Al di là delle legittime opinioni, non pensa che comunque la Rete sia difficilmente “governabile” semplicemente mettendo paletti? Ovvero non crede che esistano già molti modi per eludere questo ipotetico obbligo?
Non si tratta di mettere paletti, ma di consentire che l’apertura di un profilo social sia connessa ad un servizio di identità digitale (simile a quanto avviene oggi per lo Spid, il sistema con cui si accede ai servizi online della pubblica amministrazione). Poi sul social posso continuare a chiamarmi “Batman85” e a dire tutto quello che mi passa per la testa. Ma – così come accade in tv, giornali e radio – in caso di necessità posso sempre esserne chiamato a prendermene la responsabilità. Del resto per prendere un cellulare devo consegnare un documento di identità, e non mi pare che nessuno abbia mai gridato allo scandalo o al restringimento delle libertà democratiche. Per quanto riguarda l’aggirabilita’, anche le carte di credito sono clonabili; ma non penso sia una buona idea smettere, per questo, di usarle.
Fake news ed hater sono due fenomeni della stessa medaglia: utilizzo della Rete per condizionare l’opinione pubblica. La rete ha amplificato una pratica in uso fin dall’antichità, semplicemente allargandone il pubblico coinvolto. Non pensa che questo fenomeno sia tanto rilevante quanto l’analfabetismo di ritorno?
È il vero tema dei nostri tempi. Nato per allargare e consolidare le nostre democrazie (favorendo la partecipazione), il web – attraverso questo uso distorto in cui si spaccia l’anonimato per libertà – sta finendo per rovinarle. Sono già numerosi i casi conclamati in cui consultazioni popolari (il momento celebrativo per eccellenza della democrazia) sono state distorte tramite il sistematico alla manipolazione dell’opinione pubblica tramite la rete: l’episodio più famoso – e foriero dei guai che siamo vedendo, chissà ancora per quanto – è il referendum sulla Brexit del giugno 2016, ma ci sono tanti altri esempi. Ma il potere condizionante delle fake news si estende anche oltre i momenti elettorali: questo modo di distorcere l’opinione pubblica sta modificando endogenamente i comportamenti dei politici, in modo molto preoccupante: si è più interessatl a come distorcere il messaggio che a governare davvero. Lei ha ragione, si tratta di un fenomeno vecchio come il mondo. Ma ora è peggiore per due motivi: la potenza dello strumento, e – di nuovo – il fatto che può essere utilizzato da tutti senza mai portare la responsabilità di ciò che si fa. Io dico che bisogna stare molto attenti: stiamo deteriorando la qualità della nostra democrazia, e se continuiamo così prima o poi pure la quantità.
E’ innegabile che la gestione ed il governo dei dati sia argomento di strettissima attualità, quali sono le prossime iniziative di Italia Viva?
Premetto innanzitutto che la mia proposta è slegata da ogni etichetta partitica e si rivolge a tutto il parlamento, proprio perché è in ballo la qualità e la quantità dei nostri processi democratici e quindi dobbiamo mettere in atto una riflessione che prescinda dalle appartenenze politiche. Detto ciò, una delle tante bugie che in questi giorni hanno raccontato sulla mia proposta infatti è che vorrei dare ai social network i dati dei nostri documenti di identità. A parte che l’obiezione mi suscita sincera ilarità (ogni giorno diamo spontaneamente ai social centinaia di miliardi di nostri dati ben più invasivi della carta d’identità), ma è pure falsa: penso ad un sistema analogo a quello già in vigore per lo Spid, in cui vi sia un interfaccia tra l’utente e il social, senza passaggio diretto di dati ai gestori. In generale, il tema della gestione dei dati è di fondamentale importanza e implica la necessità di profonde riflessioni: ma legarla al fatto che l’unico modo per essere liberi è l’anonimato sul web è solo l’ennesima mistificazione che chi si è un po’ spaventato da questo dibattito sta cercando di mettere in campo per confondere le acque.