Qualche settimana fa (quando ancora si cercavano “responsabili” per costruire una maggioranza raccogliticcia che sostenesse il Conte-ter) il mio amico Giampaolo Sodano, direttore di questa testata, mi aveva invitato a trasformare i contenuti di una nostra chiacchierata in un articolo dove si evidenziava la necessità di una guida di governo dotata di “autorevolezza (interna ed esterna), competenza (effettiva e non millantata) e che non avesse come finalità primarie la ricerca del potere e del consenso personale”. E si ricordava che “tutti sanno che una figura che ha queste caratteristiche fortunatamente esiste”; per concludere con l’auspicio di “un comportamento davvero responsabile delle forze politiche, rivolto a fare tutto ciò che serve (“whatever it takes”) per far riprendere l’Italia e non per riprendere un po’ di voti”.
Il percorso è stato un po’ tortuoso, ma alla fine – a quanto sembra- ci si sta arrivando: il governo del professor Draghi sembra destinato a raccogliere l’ampio consenso parlamentare auspicato dal Presidente Mattarella con la sola esclusione dei post fascisti e (forse) dei post comunisti.
La visione “politica” di Mario Draghi è abbastanza nota: crede nel ruolo delle istituzioni pubbliche per creare le condizioni affinché l’iniziativa privata produca ricchezza e quindi negli investimenti che aumentano la produttività sistemica, quelli nelle infrastrutture materiali e immateriali così come quelli nella formazione e nella ricerca. D’altra parte ha mostrato più volte di essere consapevole che proprio per consentire il libero dispiegarsi delle capacità produttive, delle loro dinamiche di distruzione e creazione, sono necessarie reti di protezione sociale che tutelino veramente chi, temporaneamente o permanentemente, ne subisce senza colpa gli aspetti più negativi.
Alla visione politica Draghi affianca una competenza tecnica e un’autorevolezza di relazioni straordinarie, caratteristiche fondamentali (e rare) per tradurre in fatti una visione politica in tempi così straordinari.
Qualcuno ha parlato di “sconfitta della politica”, io credo si debba invece parlare di sconfitta della “cattiva politica”, quella che ha conquistato consensi agitando feticci mediatici (“l’onesta” o la “lotta agli immigrati”) che rispondevano a sentimenti diffusi ma non rappresentavano risposte ai problemi del paese o quella che maschera il perseguimento del potere sotto generici richiami a valori tanto condivisibili quanto indefinibili.
Se davvero sarà sostenuto da un’ampia maggioranza parlamentare sarà un’ottima cosa. Non fosse altro perché si eviterà di assegnare ad una singola forza politica la possibilità di porre condizioni ultimative per finalità di parte. Una tregua nella quotidiana competizione alla ricerca del consenso attraverso il ricorso a propaganda demagogica sempre più spinta ci eravamo permessi di auspicarla, sempre su questa testata, fin dall’inizio della pandemia. Non aver scelto, un anno fa, quella strada è stato (a mio modesto avviso) il grande errore dell’avvocato Giuseppe Conte che pure, in quanto figura di origine non politica dotata di notevole “duttilità”, era in condizione di perseguirla. Ma ci voleva umiltà e lui ha preferito, invece, inseguire la strada dell’autopromozione personale, peraltro in forme così eccessive e talvolta maldestre da risultarne alla fine travolto.
Di fronte a questo duplice esito positivo (una seppur temporanea tregua politica e una guida sommamente autorevole) le alchimie che saranno necessarie per arrivare all’organigramma di governo passano sinceramente in secondo piano.
Difficile dire cosa accadrà politicamente nei prossimi mesi, si sono messe in modo importanti dinamiche di cui si potrà parlare in altra occasione; per ora godiamoci l’opportunità di provare, una volta tanto, un po’ di speranza.